martedì 12 novembre 2013

La guerra capitalista, idolatria del denaro al servizio del potere





Vi è stato probabilmente un tempo, in qualche luogo del mondo, in cui la guerra ha avuto una sua morale, quand'anche fosse combattuta da uomini in larga parte immorali.



La tipologia di guerra contemporanea, combattuta avendo sullo sfondo il capitalismo anglosassone, è per definizione qualcosa che non può includere alcuna componente che non sia squisitamente materiale. Dalle motivazioni che la generano alle strategie con le quali è combattuta sul campo, la guerra capitalista non lascia spazio ad alcuna componente etica mentre ogni singola sfaccettatura è il frutto di un mero calcolo razionalista.

E non potrebbe essere diversamente se si considera che la guerra, così come la società occidentale che la promuove e come lo stesso sistema capitalista, altro non è che uno dei prodotti di quell'illuminismo (il minuscolo non è un errore di battitura) che ha scomposto le ancestrali componenti emotive della Persona per lasciare il posto a un Individuo costituito da razionalità pura.



Una razionalità asservita al potere.



Questa distorsione ha portato l'Occidente a combattere conflitti che nell'esasperare il razionalismo al servizio del capitale hanno del tutto perso di vista la semplice logica portando gli stati promotori di queste guerre a enormi perdite economiche laddove uno dei motivi per cui le guerre erano intraprese (ufficioso e sottaciuto per i falchi, ufficiale e condannato per le colombe) era proprio l'opportunità di fare guadagni coinvolgendo grandi aziende nazionali nei conflitti.



Per esempio paesi come gli Stati Uniti e i loro coatti alleati hanno intrapreso le avventure militari in Afghanistan (2001) e Iraq (2004) non tanto per aggiungere un tassello alla presunta “lotta al terrorismo” quanto per compiacere proprie aziende militari e civili1 che avrebbero beneficiato delle enormi spese pubbliche in armamenti e ricostruzione per fare grandi guadagni e, indirettamente, portare beneficio alle economie nazionali in genere.



Una simile motivazione oltre a mancare di morale fin dalle premesse (scatenare una guerra per promuovere il proprio sviluppo economico non è certo la via migliore per guadagnarsi il Paradiso) pecca di logica anche negli sviluppi dell'azione e lo si può dedurre esaminando poche cifre intorno ai conflitti di cui si è parlato.



La guerra all'Afghanistan aveva lo scopo di rimuovere il regime dei Taliban contrario alla realizzazione di un gasdotto da parte della compagnia statunitense Unocal, e consentire a quest'ultima di portare avanti il proprio lavoro una volta insediato a Kabul un amministratore delegato per conto della Casa Bianca.

Se il progetto è sostanzialmente fallito, i danni economici rimangono a dispetto delle intenzioni iniziali. La guerra in Afghanistan ha presentato un conto sempre crescente che ha toccato i 190 miliardi di dollari tra il 2001 e il 2010 per i soli Stati Uniti, con un picco di 105 miliardi nel solo 2010. Se riconsideriamo le motivazioni ufficiose della campagna (consentire alla Unocal di costruire il proprio gasdotto) sarebbe logico credere che la compagnia in questione abbia ricavato dalla guerra un giro d'affari superiore ai costi del conflitto facendo quindi in modo che il gioco valesse la candela.

Così non è stato, almeno sullo scenario afghano, mentre i costi del conflitto continueranno ad aumentare sia in relazione delle forze militari presenti che delle spese indirette gravanti oggi e negli anni a venire sul bilancio federale USA (pensioni ai militari, spese sanitarie per i reduci, interessi sul debito pubblico2 contratto per finanziare la guerra) tanto che alcuni esperti, pur nelle difficoltà di scorporare le spese per l'Afghanistan a da quelle per l'Iraq, hanno calcolato un costo finale e complessivo dei due conflitti di 3.700 miliardi di dollari entro il 20203.

Basta considerare che l'attuale debito pubblico USA ha superato i 16.000 miliardi di dollari4 per rendersi conto del peso che questo conflitto ha avuto nella costruzione dell'attuale crisi economica e finanziaria a stelle e strisce e, di conseguenza, in tutto l'Occidente a guida americana.

Di contro, anche ammettendo che a parte la già citata Unocal, altre corporations statunitensi possono aver beneficiato delle spese di guerra facendo cadere dal tavolo qualche briciola a favore dei propri lavoratori e del resto dell'economia, appare chiaro che i denari investiti nel conflitto non hanno generato alcun ritorno economico strategico e appaiono invece come un drammatico regalo a pochi potentati economici.



Se ne conclude che le presunte motivazioni economiche di una guerra non sono di per sé sufficienti a giustificarla ma vanno riviste in modo più profondo. I paesi occidentali sono disposti a entrare in una guerra spendendo 100 per far sì che le proprie oligarchie economiche ricavino anche solo 50. La differenza la pagheranno i cittadini col proprio lavoro adeguatamente tassato e le vittime del conflitto attraverso un rinnovato sfruttamento delle risorse del proprio paese.

La domanda che ne consegue avrà il sapore della retorica per chi la leggerà da una prospettiva capitalista e illuminista, ossia la stessa prospettiva che ha portato a combattere guerre assurde anche da un punto di vista meramente economico. 


E invece si tratta di un interrogativo assolutamente tecnico che ben dovrebbe comprendere chi ha fatto del calcolo l'unico criterio di valutazione del bene e del male. Stabilito che se gli Stati Uniti, e i loro alleati a ruota, hanno potuto stanziare fondi stratosferici per combattere queste guerre ciò significa che tali risorse esistevano, fossero reali o frutto di un indebitamento pubblico. E allora, spendere per spendere con la speranza di rilanciare l'economia, non sarebbe stato meglio gettare questi soldi letteralmente fuori della finestra regalandoli ai cittadini e alle aziende affinché se ne servissero risparmiandoci il doloroso passaggio di una guerra?



1 La vecchia sinistra europea avrebbe parlato anche di “complesso militare-industriale”

2A proposito si potrebbe aggiungere il problema del signoraggio primario, per cui negli USA l'emissione di dollari necessari a finanziare investimenti pubblici genera automaticamente debito.

3http://www.osservatorioafghanistan.org/2011/07/i-costi-della-guerra-in-afghanistan-iraq-e-pakistan/

4http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2012-11-07/debito-pubblico-superato-trilioni-220411.shtml?uuid=Abcb100G

4 commenti:

Marcusdardi - Menestrello ha detto...

sono doppiamente vigliacchi poichè tenendo una buona sacca di povertà interna e senza assistenza sanitaria, con l'esercito si sistemano un po' di persone e così lo sciacallaggio è doppio all'esterno contro gli altri popoli e all'interno sfruttando anche la propria popolazione: c'è anche la canzone: http://www.youtube.com/watch?v=MaiCuSTwg24

Simone ha detto...

Assolutamente. Infatti buona parte dei soldati italiani, ad esempio, sono giovani meridionali senza fiducia nel futuro mentre l'esercito USA è composto in larga parte da afroamericani dei quartieri poveri, ispanici e spesso da immigrati dotati della semplce Carta Verde che col servizio militare vogliono guadagnarsi proprio la cittadinanza.

Anonimo ha detto...

Saluto tutti.

Per quanto mi riguarda le tipologie di guerra neocapitalistica sono almeno due. Si tratta di conflitti condotti parallelamente:

1) Guerra sociale interna contro i dominati e i lavoratori, in corso da almeno vent'anni. Il risultato è la de-emancipazione di massa e il trasferimento di risorse sempre più ingenti dal lavoro al capitale (finanziario). Questa guerra non si vale dei tradizionali strumenti, ma dei media, del giuslavorismo complice, del lavoro precario capillarmente diffuso (svalutazione economica e culturale del lavoro), del gioco d’azzardo di massa (abbondanza di slot ovunque), della droga, degli psicofarmaci, del consumo di cibo-spazzatura (nel quadro di una generale diminuzione dell’essere umano), eccetera, eccetera. In questa guerra i bombardamenti sono propagandistici, pubblicitari. Ci sono i morti, ma sono coloro che si sopprimono per ragioni economiche, quelli che in esplosioni di follia individuale sterminano la famiglia e poi si ammazzano, e via elencando. La guerra sociale interna – condotta dagli agenti strategici neocapitalistici e dai loro “sgherri” nei cosiddetti paesi ricchi (oggi almeno in parte ex-ricchi) – è a senso unico, perché le élite global-finanziarie hanno da qualche tempo acquisito il monopolio della (vecchia) lotta di classe. Le masse sono in buona parte inerti e subiscono (almeno per ora) senza reagire, oppure reagendo in modo frammentato e insufficiente, non mettendo veramente in pericolo il sistema. Questo discorso, com’è ovvio, non riguarda solo l’Italia.

2) Guerra tradizionale, di conquista e di origine “imperialista”, combattuta con strumenti militari, per piegare i paesi ribelli (e i loro governi) fuori dal cerchio più interno del “mondo globalizzato e neocapitalistico”. Afghanistan, Iraq, Libia ne sono altrettanti esempi. In Siria ci sono mercenari infiltrati, armati anche dai globalisti occidentali (gli altri “padrini” sono le monarchie arabo-islamiche del golfo e gli israeliano-sionisti), che stanno sconquassando quel piccolo paese.

Ri-saluti

Eugenio Orso

Simone ha detto...

@ Eugenio

I tuoi commenti implementano l'articolo in modo prezioso. Ovviamente quanto dici rientra più nell'ambito di una sorta di guerra sociologica, una paralisi cerebrale indotta e a mio avviso un vero tentativo di far involvere biologicamente la razza umana, combinando questa guerra con pratiche quali vaccinazioni e scie chimiche (bio e geoingegneria).