sabato 20 luglio 2019

Fiaba per bambini - Artù e il ritorno del Santo Graal (2a parte)



Passarono gli anni. Passarono come se fossero pochi giorni o molti secoli al tempo stesso. Artù, sempre sotto la guida severa ma amorevole di Merlino, non era più un ragazzino. Dopo la morte dello zio, aveva preso congedo dalla zia rimasta sola e aveva raccolto intorno a sé un gruppo di giovani che come lui volevano lottare per riportare la Luce in Europa secondo gli antichi principi che erano appartenuti ai Cavalieri del Graal. A volte da solo, a volte con Merlino, parlava di questi valori e si allenava a lottare e combattere, iniziando col tempo ad attaccare i gendarmi e i Neri Esecutori, le loro carovane, le loro abitazioni più isolate, strappando loro via via il controllo di piccoli castelli o villaggi, ma iniziando col tempo a lanciare attacchi sempre più pericolosi e importanti.
Prima erano alcune decine di ragazzi e ragazze, poi col tempo erano diventati diverse centinaia, armati prima di tutto di coraggio e determinazione. Ma tra loro Artù, col consiglio di Merlino, aveva scelto i compagni più saggi, più equilibrati, i più compassionevoli, amorevoli e coraggiosi al tempo stesso.
Ne aveva scelti dodici e con essi, quando si ritrovavano, sedevano a una Tavola Rotonda allestita in qualche antico luogo sacro per discutere la conduzione della ribellione.
La loro lotta si era ingrandita sempre più, prima dalle foreste, le paludi e le montagne, fino a dentro le città ed era sempre più impegnativo organizzare tutti i combattenti che si univano ad Artù. Ma i suoi dodici cavalieri avevano anche un'altra missione molto importante che era stata affidata loro da Merlino: ritrovare gli ultimi superstiti tra le antiche Creature di Luce, streghe e stregoni, elfi, fauni, ninfe, fate e tutti quegli esseri che un tempo i Neri Esecutori avevano perseguitato spazzandoli via dall'Europa e che tutti credevano estinti.
"Non sono scomparsi, in realtà – spiegò una volta Merlino ad Artù e agli altri cavalieri – E il Tempio Nero lo sa. Certo, tutti coloro fra quelle creature che erano dotati di una forma visibile sono stati uccisi. Ma altri, anche se pochissimi, sono sopravvissuti perdendo la loro forma esteriore o i loro poteri... per ora. Questo è accaduto perché, senza l'energia che arrivava loro dall'amore degli esseri umani e dal rapporto con loro, non hanno più potuto mantenere la propria forma soprannaturale. Allo stesso modo streghe e stregoni hanno perso il proprio potere perché più nessuno lo ha alimentato con la propria fiducia, ma la loro conoscenza magica non è venuta a mancare. Bisogna solo ricostruire questo legame".

Ci vollero anni per completare questa missione. Istruiti da Merlino, Artù e i suoi cavalieri avevano con fatica cercato i discendenti di quelle fantastiche Creature sotto le loro prudenti sembianze umane e si erano a fatica guadagnati la loro fiducia superandone i timori e i sospetti.
E poi li avevano convinti a radunarsi vicino a una nuova comunità umana che andava nascendo e che avrebbe fermamente creduto in loro. Una comunità formata da Artù, da Merlino, da tutti i combattenti che si radunavano e dai loro amici e le loro famiglie.
Una comunità che risiedeva in una fantastica città fortificata circondata da campagne fertili a loro volta protette all'esterno da difese naturali come fiumi, paludi e montagne che i poteri di Merlino e dei suoi nuovi alleati fatati avevano realizzato in poche settimane nel cuore dell'Europa senza che nessuno del Tempio Nero o dei regni allora in piedi se ne accorgesse.

Questa nuova comunità umana aveva un nome: Camelot.

Camelot era la speranza che sorgeva quando la disperazione accompagnava ogni uomo sin dalla nascita.
Camelot era la Luce che si accendeva e brillava ancora più forte nell'oscurità.

Raccoglieva tra le sue mura tutto il Bene che ancora era presente nel mondo e lanciava senza timore, quasi con irriverenza, la sua sfida mortale al male che pervadeva ogni cosa.

Lì, tra quelle mura e quella Natura invincibile, Artù, ormai uomo, divenne re e costruì un nuovo regno, una nuova nazione. Poteva sembrare poca cosa di fronte a tutti i potenti regni che sorgevano da secoli in tutto il continente, ma era solo un'apparenza perché Artù e i suoi fedeli compagni padroneggiavano ormai l'antico segreto che tanto il Tempio Nero temeva, l'arma che poteva rendere ogni uomo o donna più potente di ogni nemico o avversità e che nessuno aveva mai potuto cancellare se non nei ricordi perché risiedeva nel profondo dell'anima umana: il Santo Graal.
Intorno a questa conoscenza Artù aveva ricostituito gli antichi Cavalieri del Graal che ora, sedendo intorno alla grande tavola, si chiamavano Cavalieri della Tavola Rotonda.
Guardando a Camelot e ai Cavalieri come a una nuova speranza, assetati e ansiosi di bere al Graal della libertà e dell'illuminazione, sempre più persone si ribellavano contro i Neri Esecutori e i sovrani che controllavano.

Fino a quando tutta l'Europa ancora sottomessa fu chiamata dal Tempio Nero a una crociata contro Camelot per spazzarla via.
Sotto la guida e la predicazione feroce dei Neri Esecutori e dei gendarmi, decine di migliaia di soldati si radunarono e marciarono contro Camelot, Vennero dalle sponde del grande oceano, dal Mediterraneo, dalle steppe dell'est e dal gelido nord. Portavano con sé armi, cavalli, rifornimenti infiniti e un odio immenso verso tutto ciò che era buono, convinti dalla superstizione che solo con questa violenza avrebbero salvato il mondo.
Erano centinaia di volte più numerosi di tutti i combattenti di Artù e non potevano essere sconfitti in battaglia... non in una battaglia normale almeno. Merlino parlò dunque ad Artù: " Il tempo è contro di noi. Presto gli eserciti nemici supereranno le montagne e le paludi che circondano la nostra fortezza e ci circonderanno. Dobbiamo prepararci a resistere ma dobbiamo anche recuperare un oggetto che ci aiuterà nella lotta. Una spada".
"Ne ho già una" rispose Artù toccando con la mano l'impugnatura della Spada nella Roccia che portava al fianco.
"Te ne serve un'altra. La Spada nella Roccia ha custodito la saggezza e la testimonianza della cavalleria. Una nuova arma ti darà la forza di proteggere Camelot da ogni avversario. Ora i tempi sono pronti affinché tu te ne impossessi. Essa non giace lontano da dove hai trovato la tua prima spada, nella foresta in cui hai iniziato la tua istruzione. Là dovrai recarti in fretta e trovare il laghetto incantato nelle vicinanze. La tua nuova spada è stata forgiata sotto la superficie di quelle acque da una ninfa che per secoli ha vegliato sul corso degli eventi"
Senza fare troppe domande, come era sua solito dopo anni di approfondita conoscenza con il suo maestro, Artù si mise in cammino. La guerra incombeva e lui doveva affrontare diversi giorni di viaggio a cavallo in un territorio pericoloso.
Per un'intera settimana Artù cavalcò, tenendosi lontano dalle città e dai villaggi, accompagnato solo dai suoi sogni e dai suoi pensieri, fino a che non riconobbe la foresta in cui da ragazzo aveva incontrato Merlino, i resti ormai abbandonati della sua capanna e la grande roccia in cui aveva trovato conficcata la spada che ancora portava con sé.
Poche decine di metri più in là, proprio dove lo ricordava, al centro di una radura e coperto quasi magicamente da un tetto naturale di vegetazione, stava il laghetto con le acque brillanti color di smeraldo.
Artù si inginocchiò sul bordo osservando quell'acqua soprannaturale e toccandola leggermente con la mano, cercando di intuire cosa avrebbe dovuto fare. D'un tratto l'acqua davanti ad Artù iniziò a ribollire e mescolarsi assumendo magicamente i contorni di una frase scritta sulla superficie: "A nessuno servono due spade", diceva il laghetto.
Artù capì. Estrasse dal fodero la Spada nella Roccia e la appoggiò sulla superficie. Senza che il re si sorprendesse, la spada galleggiò e fu portata dal moto delle acque al centro dove pian piano iniziò a scendere fino a scomparire alla vista.
Poco dopo le acque iniziarono di nuovo ad agitarsi, questa volta con un movimento che dal centro del lago si avvicinava alla riva verso Artù. Pian piano, dalle acque emerse qualcosa di lucente... emerse sempre di più e sempre più luminosa sino a rivelarsi per ciò che Merlino aveva previsto. Una magnifica spada che brillava con tutta la Luce del Creato, sorretta da una misteriosa mano che emergeva di poco dalla superficie.
Artù allungò le braccia e afferrò con attenzione la bellissima spada. In quel momento iniziò ad emergere dall'acqua una bellissima figura di donna, la stessa creatura che evidentemente aveva retto la spada sott'acqua pochi istanti prima, e fece qualche passo indietro in segno di rispetto perché quella donna doveva essere certamente una di quelle Creature di Luce che negli ultimi anni lui e i suoi combattenti avevano aiutato a rivelarsi e radunarsi.
"Sono una ninfa – disse la figura intuendo i pensieri di Artù – E, proprio come il tuo insegnante Merlino, ero qui secoli fa il giorno in cui sono finiti i Cavalieri del Graal ed è stato allo stesso tempo gettato il seme della loro rinascita. Io ero qui e come Merlino ho assistito al gesto del cavaliere Leo, che già conosci, alla sua ribellione, al suo addio alla cavalleria".
"In questo laghetto – proseguì la ninfa – Leo aveva gettato la sua armatura e per secoli le acque hanno custodito il metallo e lo hanno intriso di potere magico. Ora che i tempi sono maturi, sono tornata, dopo che io stessa avevo abbandonato questi luoghi, e ho ripreso a vivere in queste acque. Mentre attendevo la venuta di un nuovo Cavaliere, con quell'armatura che è stata di Leo e con le mie arti magiche ho forgiato quest'arma per te... un'arma sacra, invincibile. Essa racchiude in sé tutto il potere di quel Dio in cui noi stessi siamo racchiusi. E' il segreto e il paradosso che la pervade e che solo tu puoi padroneggiare. Il suo nome è scolpito nel Sole e nella Luna: Excalibur".

Re Artù ammirò la sua nuova spada lucente per qualche lungo istante e iniziò a saggiarla fendendo l'aria davanti a sé. Quando volse di nuovo lo sguardo al laghetto la bellissima ninfa era scomparsa, sicuramente immersa di nuovo nelle acque. Artù osservò ancora qualche minuto la superficie limpida, sapendo che la creatura non sarebbe più riapparsa. Aveva compiuto la sua missione e ora era tornata al suo posto senza concedere a se stessa o ad altri nulla in più, nulla che non fosse necessario, come sempre avevano fatto le Creature di Luce per migliaia di anni.

Iniziò quindi il suo viaggio di ritorno verso Camelot con Excalibur al fianco. Montando a cavallo un tuono potente e sinistro esplose in lontananza proprio nella direzione del suo cammino. Era un rombo che ricordava ad Artù che la guerra ormai stava per iniziare e doveva sbrigarsi.

Quando Artù arrivò nelle vicinanze di Camelot, l'immenso esercito nemico si stava già accampando nelle pianure e nelle campagne intorno alla città. Ma per fortuna quel terreno, formato dalle arti magiche di Merlino e delle Creature, era pensato per proteggere la fortezza e lasciava sempre a chi lo conoscesse un passaggio sicuro e nascosto anche in presenza di molti soldati avversari.
Artù riuscì così a entrare tra le mura di Camelot senza essere visto e a prendere il comando della città poco prima che si scatenasse la battaglia.

I gendarmi e tutti gli altri nemici iniziarono a scagliare contro le mura di Camelot enormi massi di pietra e palle di fuoco con le loro macchine da guerra. I primi colpi si schiantarono contro la fortezza senza fare danni ma le mura non avrebbero resistito all'infinito.
Artù radunò i suoi dodici Cavalieri alla Tavola Rotonda e insieme recitarono una preghiera che risvegliasse in loro e nei loro combattenti il vero potere del Santo Graal, la Luce che nasce dentro ognuno di noi e che ci guida verso il bene. Come ultima invocazione, prima di andare in battaglia, tutti insieme ripeterono il giuramento degli antichi cavalieri:

Dedicherò la mia Anima alla Luce
Non combatterò per distruggere quel che odio
ma per difendere quel che amo
Giuro di proteggere sempre e ovunque i deboli, gli oppressi e i bambini
Lotterò per portare la Libertà, la Giustizia e la Verità

Guidò allora i suoi cavalieri e le Creature di Luce sulle mura tutto intorno alla città e ordinò che tutti si prendessero per mano l'un l'altro.
Poteva sembrare un ordine strano in una battaglia e infatti i gendarmi e i Neri Esecutori che li guidavano, a quella vista iniziarono a ridere e la loro risata malvagia riempì tutta la pianura e le campagne intorno a Camelot.
Ma la loro risata fu presto coperta da un canto che proveniva proprio dalle mura. Gli elfi, le streghe, i fauni e le fate, i maghi e le ninfe a centinaia stavano intonando tutti insieme un vero incantesimo e alla base delle mura di Camelot iniziò a formarsi una nuvola di energia dorata che pian piano prese a salire sino a proteggere tutta la città come una cupola. Quando i gendarmi ripresero a lanciare pietre e proiettili infuocati contro Camelot, questi si disintegrarono contro quella barriera magica, mentre le Creature di Luce continuavano la loro melodia.
Poi i soldati di Camelot che, al riparo dietro le mura, non stavano ancora partecipando alla battaglia, iniziarono a pregare e cantare anche loro come i Cavalieri del Graal avevano insegnato per dare ancora più forza alla Creature di Luce. E poco dopo anche tutti gli abitanti non combattenti, i bambini, i cuochi, i falegnami, le guaritrici, si unirono tutti insieme, tenendosi per mano tra le vie della città, ad alimentare con la propria energia e la propria devozione sincera quella barriera magica rafforzandola oltre ogni limite.
Fu allora che appena sotto la cupola dorata apparvero strane strisce azzurre che sembravano volare sotto la sua superficie assumendo man mano una forma sempre più definita sino a rivelarsi come le più potenti Creature di Luce che si potessero invocare: gli angeli. Volteggiavano vicino alla barriera unendo il proprio canto a quello di tutti gli altri e al loro passaggio una cascata celeste scendeva lungo la superficie dorata sino a trasformarsi in onde di energia che partivano dalle mura verso i soldati nemici e le loro macchine da guerra spingendoli via con forza, ma senza uccidere o ferire nessuno.
Re Artù si volse a guardare soddisfatto quell'incredibile e soprannaturale spettacolo. Finché la barriera avesse retto nessun filo di oscurità, nemmeno il buio di una notte senza Luna, sarebbe entrato in città

Mai i Neri Esecutori, che come Merlino aveva spiegato custodivano segretamente l'antico potere della Luce, avevano visto una simile potenza e i loro sacerdoti più importanti si consultarono per decidere come attaccare Camelot.
La barriera magica era impenetrabile per loro che non sapevano lanciare incantesimi. Ma non poteva durare per sempre perché era alimentata da creature e da persone che a loro volta non avrebbero potuto resistere al'infinito.
Lasciarono quindi che passassero il pomeriggio e la notte e l'indomani iniziarono di nuovo a scagliare contro Camelot ogni sorta di proiettili. Di nuovo tutti si unirono nell'incantesimo che proteggeva la città con la barriera magica con gli stessi effetti, ma questa volta i Neri Esecutori, senza rispetto per le vite dei loro stessi soldati, ordinarono ai gendarmi di iniziare ad assalire la città con le armi in pugno per cercare di aprirsi un passaggio.
Quei poveri uomini, a migliaia, si lanciarono contro la barriera sperando di passare laddove nemmeno le loro immense pietre erano riuscite, convinti dalle parole degli Esecutori che la magia di Camelot poteva fermare solo i corpi inanimati. Avevano mentito, e molti gendarmi finirono inutilmente scaraventati a terra, scottati dal tocco di quell'energia, schiacciati dai propri stessi compagni e alcuni, purtroppo, morirono.
Ma ogni loro assalto costringeva le Creature di Luce e la gente di Camelot e intonare l'incantesimo con sempre maggiore forza e col passare delle ore le energie iniziarono a diminuire mentre l'immenso esercito nemico continuava i suoi assalti.

Artù, che aveva lasciato il cerchio per fare un giro intorno alle mura, sapeva che Camelot non poteva limitarsi a difendersi all'infinito in quel modo e che presto i suoi combattenti non avrebbero avuto abbastanza forza per alcun genere di azione.
Poiché, come prevedibile, i Neri Esecutori non avevano intenzione di ritirarsi, bisognava attaccarli e costringerli ad arrendersi.
Artù si ritirò qualche minuto in un piccolo Tempio del Graal che sorgeva al centro della fortezza proprio sopra la stanza della Tavola Rotonda e lì venne raggiunto da Merlino. Si inginocchiò davanti alle vetrate colorate attraverso cui passava la luce del giorno tenendo ben stretta Excalibur in mano per concentrarsi e chiamare a sé il potere della spada.
Merlino gli spiegò: "Ciò che i combattenti di Camelot hanno fatto sinora è servito solo per difendersi. Ora dovrai incanalare tutto il loro potere in Excalibur per scacciare i nostri nemici. Il potere di quell'arma è invincibile purché si abbia fede in essa".
Artù passò tutto il resto del giorno e la notte in profonda meditazione con la spada tra le mani, rimandendo in silenzio, immobile e con gli occhi chiusi tanto da sembrare quasi addormentato. Con i poteri dei Cavalieri del Graal che aveva appreso in quegli anni poteva sentire tutta la forza generata dai difensori della fortezza e dalla loro magia che scorreva tutti intorno. La sentiva diminuire col passare delle ore mentre la ferocia e l'aggressività dei loro nemici continuava. Ma lui ora era un Cavaliere del Graal completo e poteva servirisi di entrambe quelle forze per prepararsi.
All'alba, ai primi raggi del Sole, Artù aprì finalmente gli occhi. Merlino, che non lo aveva disturbato per tutte quelle ore, era ancora vicino a lui nel piccolo Tempio del Graal: "Pronto?" gli chiese.
"Pronto - rispose il re – Il Sole e la Luna tra i quali è scritto il nome di Excalibur oggi ci aiuteranno. L'ho sentito chiaramente".
Artù tornò finalmente sulle mura dove Cavalieri e Creature di Luce furono felici di rivederlo. Stavano resistendo senza riposo da moltissime ore e molti tra loro iniziavano a cedere e la barriera magica a indebolirsi, tanto che alcuni dei colpi scagliati dalle macchine da guerra nemiche iniziavano a superarla e schiantarsi contro le mura, mentre in alcuni punti soldati nemici erano riusciti a scalare la muraglia ed era stato necessario respingerli con le armi in pugno.
Artù scelse un punto da cui poteva vedere davanti a sé, nella pianura, il grosso dell'accampamento nemico con la maggior parte dei Gendarmi e dei Neri Esecutori che li guidavano. Da lì avrebbe lanciato il suo attacco solitario, per ottenere il massimo risultato possibile, ma non era ancora il momento. Qualcosa stava per accadere in cielo, anche se non sapeva bene cosa, ma era certo che lo avrebbe aiutato.
Aspettò... passarono ancora due ore, tre. Il Sole tornò alto nel cielo del pomeriggio e lui continuava immobile a fissare la pianura davanti a sé, mentre i difensori di Camelot, anche se sempre più stanchi, continuavano a resistere senza fare domande, sicuri che Artù avesse nella sua testa il piano giusto.
Poi finalmente qualcosa accadde. Un immenso disco apparve improvvisamente in cielo davanti al Sole. Poco alla volta avanzava limitando sempre più la luce del giorno ed era evidente che presto l'avrebbe oscurato quasi del tutto. A quella strana vista i gendarmi, non sapendo che quella era la Luna che in pieno giorno stava ruotando passando davanti al Sole generando un'eclisse, spaventati dal buio che stava calando in pieno giorno, si fermarono e sospesero la battaglia.
Era il momento che Re Artù aspettava, quello in cui poteva servirsi, come già durante le sue preghiere, del potere della Luce e di quello dell'Ombra. Artù aspettò che la Luna fosse proprio al centro del Sole, oscurandolo del tutto tranne che per una sottile corona tutta intorno, poi alzò la spada Excalibur sopra di sé per raccogliere allo stesso tempo la forza di quei raggi solari che ancora passavano e del cono d'ombra lunare. Excalibur si illuminò improvvisamente di un bagliore accecante, poi sembrò quasi incendiarsi e tutto intorno ogni cosa tremava.
Artù resse la spada sino a che non sentì in essa il massimo potere. Poi, con decisione, la calò e puntò verso il grande accampamento nemico. Un potente bagliore, una fiammata, lampi e scariche di energia divamparono dalla lama e si diressero con la forma di un drago verso la pianura. La potenza di Excalibur toccò terra tra le tende e i carri dell'esercito dei gendarmi e generò un'enorme esplosione che spazzò via tutto per centinaia di metri con un frastuono assordante, mentre lo spostamento d'aria faceva volare ogni cosa come in una tempesta.

Tutto intorno a Camelot inmprovvisamente calò il silenzio. Gendarmi e Neri Esecutori, a migliaia, giacevano a terra senza vita o feriti. Chi era sfuggito al potente attacco di Excalibur stava fuggendo verso le paludi. I difensori della fortezza avevano cessato il proprio canto lasciando spegnere la barriera magica che ormai non serviva più. Quando la Luna continuando il suo corso lasciò il Sole nuovamente scoperto, la luce del giorno tornò a splendere rivelando gli effetti di quanto accaduto.

La battaglia, anzi, la guerra era finita. Artù, Merlino, i Cavalieri della Tavola Rotonta e le Creature di Luce avevano vinto.

I combattenti e i difensori di Camelot passarono tra le mura il resto della giornata e tutta la notte seguente. Solo il giorno successivo il re, accompagnato da Merlino, dai dodici Cavalieri e da alcune Creature, uscì dirigendosi a piedi verso ciò che restava degli accampamenti nemici.
Camminarono tra rovine, tende e carri bruciati, persone a terra senza vita.
Non era però con quella sofferenza che il nuovo mondo poteva essere costruito, altrimenti sarebbe stato uguale al precedente, al mondo del Tempio Nero, dei Neri Esecutori, delle Creature di Luce perseguitate e imprigionate e del mistero del Graal nascosto alla gente.

Di nuovo, i Cavalieri e le Creature di Luce si presero per mano in mezzo a quel silenzio e quella rovina. Raccolsero tutte le proprie forze e intonarono un nuovo canto... non più un canto di guerra, stavolta, ma un canto di vita.
Una strana onda magica iniziò a spargersi tutto intorno a terra... e pian piano le persone morte iniziarono a tornare in vita, a riprendere conoscenza, a rialzarsi, stupite da quel che era capitato e cercando di capire cosa fosse successo. E, soprattutto, illuminate da quella incredibile esperienza.
Quando tutti si furono ripresi e gli effetti della battaglia furono cancellati, Artù comandò ai gendarmi e agli esecutori riportati in vita di tornare alle proprie case. Non era solo la guerra ad essere finita, ma un'intera epoca di oscurità. La Luce si sarebbe espansa da Camelot in tutta Europa e sarebbe stata patrimonio di tutti così che il male non sarebbe mai più potuto tornare.

Poi il re salutò i suoi amici e combattenti per un ultimo viaggio. I dodici Cavalieri della Tavola Rotonda sarebbero tornati a prendersi cura di Camelot. Le Creature di Luce, ormai senza più nulla da temere, sarebbero pian piano tornate a popolare il mondo e convivere con la gente comune.
"Sicuro di quel che stai per fare?" Chiese Merlino ad Artù prima della sua ultima partenza.
"Sicurissimo" rispose il re con un sorriso. E in quell'espressione serena, liberata forse dagli ultimi anni di severità e responsabilità, Merlino rivide il ragazzo di sedici anni che un tempo aveva accolto e guidato come un figlio, quando tutto ancora poteva essere felicità e spensieratezza.

Solo col suo cavallo, Artù tornò ancora alla foresta dove aveva conosciuto il suo maestro, dove aveva trovato la Spada nella Roccia e dove la ninfa aveva per lui forgiata Excalibur.
E proprio Excalibur era venuto a restituire.
Artù si inchinò sulle sponde del laghetto dove già era stato pochi giorni prima e dove il cavaliere Leo, un tempo, aveva messo al sicuro ciò che rimaneva dell'antica cavalleria.
"Sono venuto a riportare ciò che non serve più a me o ad altri" disse, sapendo che la ninfa del lago lo stava ascoltando da sotto la superficie.
E così Artù posò delicatamente sulle acque Excalibur, che galleggiò magicamente, e la spinse verso il centro dove pian piano si immerse nelle profondità del lago.
Poi, attraverso il tetto naturale di vegetazione, guardò il cielo e un'ultima volta, con le mani unite a coppa, ripetè il gesto del giuramento dei Cavalieri del Graal e raccolse dentro di sé la luce del Sole chi filtrava tra le fronde.
Infine si rialzò. Pose un piede dentro l'acqua. Poi l'altro. E iniziò a camminare, finendo, un passo dopo l'altro, sempre più immerso nel laghetto. Continuò come se nulla fosse, sereno, finendo poi completamente sott'acqua, mentre il suo corpo si tramutava lentamente in un'aura dorata di energia e diventava tutt'uno con il lago... sino a sparire.

Era l'ultimo dono che re Artù, il primo cavaliere della nuova epoca, lasciava all'umanità.
Insegnare che gli esseri umani sono perfetti così. Che non hanno bisogno di un re. Di Cavalieri. Di Creature di Luce. Di spade magiche. Loro sono già tutto ciò che serve. Sono la Luce che troppo spesso cercano al di fuori e che invece portano già in sé.

Gli esseri umani erano, sono e saranno il Santo Graal.


lunedì 15 luglio 2019

Artù e il ritorno del Santo Graal: chi è Merlino?



Fu così che Artù abbandonò il mondo comune in cui era sempre vissuto per abbracciare una misssione più grande e per la quale Merlino l'aveva discretamente osservato e preparato.
"Come ti ho detto – raccontò il maestro il giorno stesso della morte dello zio – io ero qui quando la Spada è stata conficcata nella Roccia dall'ultimo cavaliere, Leo, secoli fa".
Artù ascoltava attentamente, ma non un barlume di stupore o meraviglia attraversavano il suo sguardo, ormai del tutto assorto in un superiore livello dell'anima, in una consapevolezza più elevata e percezioni più sottili che poco spazio lasciavano alla sorpresa.
"Non ho visto esattemente il momento in cui è avvenuto... ma so come è successo perché sino a poche ore prima di quell'evento io ero con Leo, anzi ero in qualche modo il suo comandante. Poiché in quell'era, Artù, io ero un Nero Esecutore e in quel lontano giorno che ricordo come fosse ieri avevo guidato Leo ed altri Cavalieri nella cattura di una Creatura di Luce, un satiro. Avevo la conoscenza segreta che il Tempio Nero stava togliendo alla gente, avevo il potere che ne derivava e avevo soprattutto la totale mancanza di pietà che mi portava a fare la mia parte per gettare il mondo nell'oscurità" 


"Ma – continuò Merlino – uno sguardo fu sufficiente a farmi cambiare sentiero. Leo, l'ultimo vero cavaliere di quell'epoca, sfidò con coraggio non solo la mia autorità ma quella dell'intero ordine che rappresentavo, si rifiutò di tenere intrappolato quel satiro e lo liberò condannando se stesso alla fuga e alla clandestinità. Lo guardai negli occhi ancora un istante prima che fuggisse e doveva essere uno sguardo ben carico d'odio il mio, poiché Leo, dalla sua modesta posizione, mi stava mostrando un coraggio e una pienezza di valori che io non avevo mai saputo incarnare. Ma fu quell'istante che mi fece cambiare per sempre. Abbandonai presto e segretamente il Tempio Nero ma lo feci senza odio, come primo passo del mio cambiamento. Poiché, imparerai, vi è più energia condensata nel Buio che nella Luce e il Tempio Nero, senza volerlo, mi aveva dato tutti i mezzi di cui avevo bisogno per ricominciare. Tutta la conoscenza sacra degli antichi, le arti dei Cavalieri del Graal, la magia e persino la stregoneria, nozioni che poco alla volta avevamo sottratto alla gente comune facendo credere a tutti che questo fosse il male, tutta questa conoscenza era in mio possesso in quanto istruito dal Tempio Nero. Ecco da dove vengono quei libri incredibili sui quali tu stesso hai studiato, Artù. Dovevo solo iniziare a usare quella sapienza in modo totalmente contrario a quanto fatto fino ad allora. Tra le righe di una dottrina che predicava un falso dio, esisteva ancora un Dio vero di Luce e Amore che tutto permea e in tutto si esprime".

Artù e il ritorno del Santo Graal (1a parte)



Erano passati molti secoli dalla scomparsa degli antichi Cavalieri del Santo Graal.
Da allora sull'umanità si era allungata un'ombra di tristezza e di oppressione. La gente viveva con fatica e aveva perso la felicità.
Ovunque i Neri Esecutori, i sacerdoti malvagi che avevano usato i cavalieri per dare la caccia alle Creature di Luce, erano i veri padroni e controllavano tutto, anche i re e i principi, attraverso il loro culto che tutti chiamavano il "Tempio Nero", e i loro soldati conosciuti come "Gendarmi".
In quel tempo nel cuore dell'Europa, in un villaggio di contadini ed artigiani al margine di una grande foresta, viveva un ragazzino di nome Artù. Abitava insieme agli zii perché i suoi genitori erano stati uccisi dai gendarmi quando lui era molto piccolo. Suo padre infatti, anche se era un povero fabbro, aveva un carattere fiero e non accettava le ingiustizie e così un giorno si era ribellato ai gendarmi che volevano prendere al mercato del villaggio tutto il denaro che quel giorno i paesani avevano incassato per darlo al Tempio Nero. I gendarmi avevano così ucciso sia lui che la moglie senza pietà. Artù era scampato solo perché era piccolissimo e i suoi genitori lo avevano lasciato a casa con gli zii.
Man mano che cresceva però diventava sempre più chiaro che aveva lo stesso carattere del padre, non sopportava il male e prendeva sempre la parte dei deboli senza pensare ai rischi.

Presto aveva anche preso l'abitudine di vagare da solo per la foresta spingendosi sempre più in profondità e lontano dal villaggio. 

     
Merlino
In una di queste sue esplorazioni Artù conobbe un uomo che viveva proprio nel cuore della foresta, lontanissimo da ogni abitazione. Il suo nome era Merlino e Artù lo trovava molto misterioso. Nonostante il viso anziano, il suo corpo, la sua mente e il suo sguardo sembravano nel pieno della forza e della lucidità e lui non diceva mai quanti anni avesse. Ad Artù non era chiaro come vivesse dato che sembrava non abbandonare mai la foresta per comprare ciò che poteva servirgli e nemmeno per vendere la grande varietà di erbe e bacche con cui preparava strane bevande o le pietre rarissime che incastonava su anelli, amuleti o bastoni, eppure nulla di essenziale mancava mai nella sua capanna.


Ma Merlino era sopra ogni altra cosa un sapiente. Conosceva tantissime cose in ogni campo e presto divenne un maestro per Artù. In pochi mesi gli insegnò a leggere e scrivere nella lingua corrente, in quella degli antichi e nel misterioso linguaggio delle rune.
Gli insegnò anche la storia del nostro mondo, di come i Cavalieri del Graal avevano a lungo guidato l'umanità e di come questa fosse poi caduta nel buio con la comparsa dei Neri Esecutori e del Tempio Nero e la fine delle Creature di Luce: streghe e stregoni, elfi, gnomi, fauni, satiri, ninfe e fate.
Ma erano tutti insegnamenti proibiti nei villagi e nelle città così come era proibito possedere quella collezione fantastica di libri antichi che Merlino teneva ben protetta in un sotterraneo segreto. L'anziano signore fece giurare ad Artù che non avrebbe mai rivelato a nessuno la loro amicizia e gli insegnamenti che stava ricevendo. Un giorno sarebbe arivato il momento in cui li avrebbe usati nel modo giusto.
Spesso, per non insospettire lo zio, Artù fingeva di non mostrarsi troppo curioso verso la foresta e non vi andava per alcuni giorni. Ma in tutto quel periodo non faceva altro che pensare al momento in cui sarebbe tornato nella capanna di Merlino ad apprendere altre cose.

Quando Artù compì i suoi sedici anni, ed era ormai un ragazzo forte e quasi adulto, anche la sua mente e la sua saggezza erano pronte grazie agli insegnamenti di Merlino.
Proprio in quei giorni Artù aveva accompagnato lo zio al mercato del villaggio per aiutarlo a comprare il metallo dalla carovana dei minatori e vendere alla sua baracca gli oggetti che produceva col suo lavoro di fabbro e dopo averlo aiutato un po' iniziò a passeggiare tra i venditori con un gruppo di cari amici della sua età.
Ma durante quela giornata un gruppo di gendarmi a cavallo era arrivato al villaggio proprio quando la piazza del mercato era più affollata. I soldati del Tempio avevano bloccato le vie di accesso alla piazza e altri avevano iniziato a perquisire con violenza le persone per togliere loro ogni denaro. Sarebbe servito al Tempio Nero, dicevano, per una "guerra santa" nelle lontane e selvagge pianure dell'Europa orientale e portare anche laggiù il loro culto. Artù assisteva con rabbia a quella scena. E quando i gendarmi arrivarono dallo zio, prendendolo con forza per le braccia e buttandolo a terra senza che lui avesse fatto niente di male, la sua collera esplose. Prese un pesante martello esposto sulla loro baracca degli oggetti in vendita e lo scagliò con forza verso un gendarme colpendolo alla spalla.
"No Artù, fermo!" gridò lo zio, ricordandosi bene cosa era successo al padre del ragazzo quando molti anni prima si era ribellato ai gendarmi. Ma era troppo tardi. Di fronte ai soldati che stavano circondando Artù per arrestarlo, i suoi amici avevano afferrato dalle bancarelle intorno tutto quello che poteva servire per difendere l'amico e si erano stretti intorno a lui.
Il capitano dei gendarmi, non volendo mostrarsi a far violenza contro dei ragazzi così giovani, ebbe un'idea crudele e peggiore. Fece arrestare e inginocchiare velocemente lo zio di Artù mentre i suoi soldati tenevano la folla di persone e i ragazzi a distanza.
Artù urlava, spingeva, strattonava con tutta la sua forza per cercare di raggiungere lo zio avendo capito cosa stava per accadere, ma fu tutto inutile. Il capitano, alzata la spada in altò, colpì lo zio uccidendolo proprio come molti anni prima era stato ucciso il padre del ragazzo.
Artù crollò a terra disperato e piangendo mentre i gendarmi del Tempio lasciavano pian piano la piazza e il villaggio col loro bottino.
I suoi amici lo sollevarono da terra e lo aiutarono a tornare a casa dove la zia, in lacrime, aveva già saputo dai paesani quello che era accaduto. Fu allora che Artù, vedendo la sua casa e quel che rimaneva della sua famiglia, non resse più alla rabbia e iniziò a correre verso la foresta di Merlino.
Corse senza guardare dove metteva i piedi, guidato solo dall'istinto perché i suoi occhi erano così pieni di lacrime da non riuscire quasi a vedere.
Aveva corso moltissimo, non sapeva quanto, quando arrivò in una radura che non aveva mai visto prima. Non sapeva quanto avesse corso ma a quel punto avrebbe già dovuto essere arrivato a casa del suo maestro. E invece in quel tratto di foresta non c'era nulla di familiare e la capanna di Merlino chissà dov'era.
Si era perso.
Artù si asciugò gli occhi e si guardò intorno cercando di capire in che punto della foresta fosse finito e come tornare indietro. Allora vide al margine della radura una grossa pietra avvolta da molte piante rampicanti e cespugli. Si avvicinò a quella pietra che pareva curiosa e la osservò meglio... e da vicino si accorse che tra le erbacce si intravvedeva l'impugnatura di una spada...
Artù si dimenticò di tutto e iniziò a strappare la vegetazione che avvolgeva quella pietra. Continuò per alcuni minuti graffiandosi e tagliandosi le mani e nel frattempo il cielo si era fatto scuro e si sentivano i tuoni di un temporale che si stava avvicinando.
Infine, quando le prime gocce di pioggia iniziarono a cadere, Artù aveva completato la sua incredibile scoperta. Al centro della grande roccia era incastonata come un gioiello una spada di cui si vedevano solo l'impugnatura e pochi centimetri di lama. Ma quello che sorprendeva era che la spada sembrava ancora nuova e lucente nonostante dovesse essere lì da molto tempo, viste le erbacce e le piante che le erano cresciute intorno.
Il rombo di un tuono esplose ora fortissimo proprio sopra la radura e Artù alzò lo sguardo al cielo con la pioggia che ormai cadeva molto forte.
Quando tornò a guardare la spada si accorse che sulla superficie della pietra erano apparsi dei segni. Era sicuro che prima non ci fosserò e guardò più da vicino perché in fondo avevano qualcosa di familiare... erano rune, simboli del misterioso alfabeto che Merlino gli aveva insegnato. Artù si concentrò un poco cercando di ricordare le sue lezioni e capire il significato di quei caratteri e ora era sicuro di quanto fosse scritto. In piedi davanti alla spada, ormai inzuppato d'acqua e tra i rombi dei tuoni che esplodevano sempre più violenti in un cielo nero come se fosse notte, Artù lesse solennemente:

Qui ha posto la sua spada l'ultimo cavaliere di questa era perché nessuno possa usarla per fare del male
Qui potrà estrarre questa spada il primo cavaliere
di un'era che verrà per tornare a fare del bene

E a quel punto Artù sentì scoppiare il tuono più forte che avesse mai sentito, così forte che sembrava venire da sotto terra facendo tremare tutta la foresta e un fulmine cadde dal cielo sino a colpire la spada e accenderla di un blu elettrico, come se fosse piena di energia.


Fece ancora un passo poiché non poteva resistere e allungò la mano sull'impugnatura. Una sensazione di forza e di calore risalì lungo il suo braccio sino al cuore e da lì si espanse giù per la schiena e in su fino alla testa illuminandogli gli occhi.
E fu allora che senza nemmeno pensarci, istintivamente e senza alcuno sforzo, Artù estrasse la spada da quella roccia e la puntò verso il cielo. 


I tuoni continuarono ad esplodere e i lampi a squarciare il cielo, ma sempre più deboli e lontani. Dopo un minuto il temporale era passato e i raggi del sole del pomeriggio tornarono a illuminare la foresta.
"E' arrivato il giorno che aspettavi" disse una voce potente alle spalle di Artù. Il ragazzo si girò e vide dall'altra parte della radura il suo maestro, Merlino, che si avvicinava.
Aveva un'espressione fiera, come quella di un insegnante orgoglioso del traguardo raggiunto dall'allievo.
"Ora potrai finalmente rivelare quanto hai appreso da me e usarlo, ragazzo mio. Da tempo il mondo attendeva il tuo arrivo. Poiché io ero presente nell'era in cui la Spada nella Roccia è stata posta qui e il Signore mi ha concesso il privilegio di esserci ora che è stata estratta. Entrambe le cose sono avvenute per un motivo e tu ne sei l'incarnazione, Artù. Ora andiamo..."

giovedì 22 novembre 2018

Fiaba per bambini - Leo, l'ultimo cavaliere


Leo, l'ultimo cavaliere

Leo, Cavaliere del Graal
Era passato molto tempo dall'epoca dello splendore dei Cavalieri del Graal, quando giovani ragazzi e ragazze prestavano un solenne giuramento e iniziavano una vita al servizio della libertà, della giustizia, dell'equità. Combattendo il male, per secoli avevano diffuso ovunque il Santo Graal, la coppa alla quale ognuno aveva potuto bere il bene quando non aveva più nessuno cui chiedere aiuto, l'ultima Luce quando tutto intorno era buio.

Ora, dopo centinaia di anni, la razza umana era stanca e decadente e i Cavalieri non erano più quelli di una volta.
Gli uomini avevano perso la capacità di distinguere il giusto dall'ingiusto, la verità dalla falsità.
Avevano iniziato a voler male a tutto ciò che al mondo era magico e speciale diventando invidiosi e pieni di rabbia verso ogni creatura di Luce.
In questa epoca triste avevano fatto la loro comparsa i Neri Esecutori, predicatori e sacerdoti malvagi che pian piano avevano iniziato a comandare nei villaggi, nei castelli e nelle città.
Un Nero Esecutore
I Neri Esecutori diventarono sempre più potenti sino a comandare sugli ultimi cavalieri e incaricarli di compiere missioni per loro. Ma erano missioni molto diverse da quelle dei tempi eroici e onorevoli. Si trattava di compiti sempre più oscuri... sempre più crudeli... e i Cavalieri del Graal alla fine iniziarono a somigliare più a dei banditi che combattevano per denaro che a guerrieri fedeli a una causa santa.

Sempre più spesso gruppi di cavalieri sotto la guida di un Esecutore esploravano i boschi, le foreste e le paludi per trovare tutto ciò che era luminoso e farlo scomparire. Le armi con le quali un tempo erano stati difesi i deboli e i poveri vennero usate per abbattere gli Alberi Sacri, i Fiori e le Piante Incantate e le loro venature azzurre, sino a che le loro fosforescenze notturne poco alla volta scomparvero dai boschi dell'Europa. Le possenti mani dei cavalieri che una volta avevano protetto e nutrito gli oppressi e i bisognosi ora iniziarono a catturare e intrappolare le Creature di Luce. Streghe, fate, fauni, folletti, elfi, stregoni... tutti catturati e intrappolati in orribili carri e poi condotti nelle prigioni sotterranee delle fortezze dei Neri Esecutori da cui nessuno usciva mai.
Alle streghe erano legate le mani affinché non facessero incantesimi. Alle fate erano tagliate le ali per non farle volare. Agli stregoni erano bendati gli occhi perché non trasmettessero la propria energia. Agli elfi erano arrotondate le orecchie per farli sembrare più umani. Ogni creatura aveva la sua ingiusta punizione così che agli occhi degli umani sembrassero più normali, più rassicuranti e, soprattutto, più deboli.
Perché gli esseri umani di quei tempi avevano invidia e paura dei poteri delle creature di Luce e poiché non avevano capacità simili, volevano toglierne a chi le aveva perché solo così, dicevano i Neri Esecutori, gli uomini sarebbero stati al sicuro.
Mentivano, in realtà, e approfittavano della paura della persone. La verità è che ogni essere umano, da sempre, aveva in sé le stesse capacità magiche di ogni singola Creatura di Luce e anche superiori, ma serviva un lungo esercizio per riscoprirle e usarle. Gli Esecutori volevano proprio impedire questo per indebolire tutta la razza umana e controllarla perciò, usando gli ultimi cavalieri, avevano iniziato a distruggere tutto ciò che di magico c'era al mondo, per cancellare persino il ricordo della possibilità di ciascuno di noi di essere speciale.


Proprio in questa epoca triste era diventato Cavaliere del Graal un giovane di nome Leo.
Nella lingua degli antichi il suo nome significava “Leone” ed era cresciuto studiando le imprese dei grandi cavalieri del passato ed era animato dal desiderio di cambiare i tempi che viveva e riportare la speranza e la giustizia nel mondo.
Ma poco dopo il suo giuramento si era accorto che le cose erano cambiate più di quanto non pensasse e che era davvero difficile per un cavaliere onorare il giuramento stesso. Anche lui si ritrovò insieme ai suoi compagni a setacciare i boschi per catturare le creature che ormai tutti odiavano e temevano. Lo fece così tante volte da dimenticarsi perché lo facesse... si dimenticò perché fosse diventato cavaliere...
A volte Leo, quando era in esplorazione nel cuore delle foreste e scendeva la notte, immerso nel silenzio poco prima di riposare, si chiedeva se alla fine lui e gli altri Cavalieri non sarebbero finiti come le Creature di Luce. Perché in fondo anche i Cavalieri del Graal appartenevano a un mondo che stava scomparendo e che sembrava non piacere ai Neri Esecutori che infatti nelle proprie fortezze avevano già altre guardie fedeli. Forse gli Esecutori stavano usando i Cavalieri per spazzare via quel mondo antico e alla fine, quando tutto sarebbe stato compiuto, i Cavalieri stessi sarebbero stati tutti imprigionati dalle nuove guardie e cancellati... perché anche dentro di loro, da qualche parte, c'era qualcosa che faceva paura e che avrebbe potuto cambiare le sorti del mondo... il Santo Graal del loro giuramento, l'ideale di Giustizia e Bene che è impresso nell'anima.

Un satiro
Un giorno come un altro, Leo e tre suoi compagni, sotto la guida di un Nero Esecutore, vennero mandati in una foresta alla ricerca di una essere che non aveva mai visto, un satiro, Creatura di Luce mezzo uomo e mezza capra, uno degli ultimi nella regione, si diceva.
La caccia durò pochi giorni. Con l'aiuto dei trucchi conosciuti dall'Esecutore, che portava sempre con sé molti libri che nessuno poteva nemmeno toccare, il satiro cadde in una trappola, avvolto in una rete. I Cavalieri e l'Esecutore lo raggiunsero che si agitava spaventato tentando di liberarsi senza riuscirsi. Lo sollevarono a fatica facendo attenzione a non essere colpiti dai calci dei suoi zoccoli e dalle corna e lo legarono con una corda su una piccola barella con la quale l'avrebbero trascinato sino a un carretto con una gabbia che avevano lasciato in uno spiazzo tra gli alberi.
Leo stava dietro alla barella e poteva vedere il satiro agitarsi sempre più a corto di energie, nel tentativo di liberarsi dalla rete. Lo osservava dispiaciuto. La povera creatura era spaventata a morte perché sapeva cosa accadeva a quelli come lui una volta che erano imprigionati dai Neri Esecutori. E si chiedeva perché gli umani odiassero così tanto le creature come lui... cosa mai avessero fatto di male per meritarsi una persecuzione così violenta.
Ma la cosa più sorprendente per Leo fu che quegli occhi che lo fissavano, sembravano a loro volta gli occhi di un umano, proprio come lui. Come se in fondo non fossero poi così diversi.
Leo continuava a girare lo sguardo, un poco fissava gli occhi del satiro, un poco guardava altrove non riuscendo a sopportare la tristezza che la creatura prigioniera gli dava, sentendo crescere dentro di sé la rabbia e un senso di ingiustizia.
Alla fine si fermò...
Non era per quello che era diventato Cavaliere del Graal. Da ragazzino sognava che avrebbe dato la caccia ai malvagi e ai demoni. Ma da quando aveva prestato il giuramento non aveva fatto altro che cacciare persone e creature che facevano paura solo perché erano speciali... e forse i malvagi e i demoni erano coloro per cui combatteva...
Leo muoviti che fai lì fermo?” disse uno dei suoi compagni che trascinava la barella col satiro.
Forza, non possiamo fermarci qui, siamo quasi arrivati” gli disse un altro cavaliere che camminava al suo fianco.
Ma Leo non si muoveva. Non avrebbe aiutato a portare quel satiro un passo più avanti. Senza una parola strinse il pugno e colpì il compagno che gli stava vicino con tutta la sua forza, non per ucciderlo ma per farlo a cadere a terra.
Poi estrasse la spada sollevandola in alto sopra la testa mentre gli altri suoi amici e il satiro lo guardavano senza capire cosa stava accadendo. E fu allora che Leo fece calare la spada velocemente verso la barella dove il satiro, immobilizzato, guardò con terrore la lama scendere verso di lui.
E invece accadde un'altra cosa. Velocemente e per due volte Leo aveva colpito i punti in cui la corda si legava alla barella e poi con l'altra mano l'aveva strappata via lasciando la creatura libera di muoversi.
Scappa!” gli urlò il Cavaliere mentre ancora brandiva la sua arma. Ma il satiro, che non credeva a quanto stava accadendo, non si mosse restando immobilizzato a fissare Leo negli occhi.
SCAAAAAPPAAAA!!” urlò allora il Cavaliere ancora più forte. Allora la creatura non se lo fece ripetere. Con un salto si mise in piedi balzando fuori dalla barella e in un attimo si strappò via la corda tagliata.
Sei impazzito Leo!?” urlò uno dei suoi compagni “Cosa hai fatto!? Riprendiamolo!”
E così dicendo gli altri due Cavalieri che erano in compagnia con Leo tentarono di inseguire il satiro che velocemente si era già lanciato attraverso gli alberi. Ma Leo si mise davanti a loro a bloccargli la strada deciso a non farli passare e aiutare la creatura a fuggire.
Riuscì a colpire al volto un primo compagno alzando con violenza il gomito e a fermare l'altro minacciandolo con la punta della spada.
Ma nessuno di loro voleva davvero combattere. Leo aveva fatto una cosa strana, che nessuno tra gli altri poteva capire, ma loro erano stati amici per anni e ora non se la sentivano di farsi del male a vicenda.
Così Leo approfittò di quell'attimo di calma e, dopo aver guardato con tristezza un'ultima volta i suoi vecchi compagni di avventura, si girò e corse a sua volta nel bosco.
Ma un attimo prima di voltarsi, vide farsi avanti il crudele Nero Esecutore che guidava la loro spedizione e che aveva assistito in silenzio alla scena con uno sguardo cattivo e spietato.

Ora non era più un Cavaliere del Graal.
Ora, come il satiro e le altre Creature di Luce, era anche lui un fuggitivo e un ricercato.

Il lago magico
Leo corse a lungo senza rendersi conto del tempo che passava e della fatica che gli provocava il peso delle armi e dell'armatura che indossava. D'un tratto sbucò in una radura, un punto in cui gli alberi si facevano più radi lasciando spazio a terra. Al centro di questa radura c'era un bellissimo laghetto mentre al di sopra i rami degli alberi che stavano al margine si allungavano come per fare un tetto che lasciava appena intravedere il cielo.
Solo allora, alla vista dell'acqua del laghetto, Leo si rese conto di essere assetato per la lunga corsa. Mentre si chinava sul bordo e si toglieva i guanti rivestiti di sottile maglia metallica per prendere un po' d'acqua, si accorse che intorno tutto era illuminato da strane luci azzurre, verdi e viola che emanavano direttamente dall'acqua e dalla vegetazione, ma in effetti lassù, attraverso quel poco che i rami lasciavano intravedere, il cielo era buio.
Dopo aver bevuto qualche sorso d'acqua Leo si stese a terra contro una roccia per riposare e si rese conto di quanto fosse stanco e di quanto le ossa e i muscoli gli facessero male per lo sforzo delle ultime ore. Chissà se l'Esecutore e i suoi compagni lo avrebbero mai trovato lì. Poco importava, ormai non aveva più la forza di fuggire ancora e in fondo era felice di aver aiutato il satiro a scappare. L'importante era che quella creatura fosse libera e che lui, come suo ultimo gesto da Cavaliere, avesse fatto qualcosa di realmente buono e nobile come avevano sempre fatto i veri Cavalieri per secoli, prima che l'oscurità scendesse anche su di loro.

Mentre pensava a queste cose sentì un rumore di zoccoli che leggermente calcavano l'erba vicino a lui. D'istinto si alzò in piedi impugnando la spada pronto ad affrontare un pericolo. E invece, a pochi metri da lui, vide proprio il satiro che poche ore prima aveva aiutato a liberarsi e che si avvicinava timoroso.
Perdonami, non volevo spaventarti” disse la creatura parlando esattamente come un essere umano “E' un bene averti ritrovato qui. Questo è il luogo in cui spesso fuggivano le Creature di Luce di questa foresta. Quando ancora ce n'erano, ovviamente”
Sei l'ultimo?” gli chiese Leo abbassando la spada e vincendo l'imbarazzo del parlare con una creatura non umana proprio come se fosse un'altra persona.
No” rispose il satiro con una punta di mistero nella voce “Non l'ultimo... ce n'è un'altra. La Signora di tutta questa foresta”. E così dicendo si volse verso il laghetto. L'acqua, già brillante come cristallo colorato, divenne ancora più luminosa e un globo di luce dorata iniziò a muoversi dal fondo dal laghetto avvicinandosi al bordo dove erano Leo e il satiro, salendo sempre più in superficie. Fino a che, dall'acqua, non emerse delicatamente una figura difficile da distinguere per la forte luce che la circondava. Pian piano la luce andò diminuendo rivelando quella che sembrava una giovane e bellissima donna che rivolse a Leo un sorriso amichevole.
La ninfa del lago
Il cavaliere non aveva mai visto una cosa del genere e non sapeva come comportarsi.
Niente paura” disse la fanciulla “Qui sei al sicuro e tra amici... gli unici che ti siano rimasti”.
Sei una strega?” chiese Leo, ancora un poco diffidente.
No” rispose la fanciulla “Non sono umana. Sono una ninfa. Una creatura del lago. Custode di queste acque sacre e ricche di potere ed energia che nutrono tutta la foresta che ci circonda. Per questo mi chiamano la Signora della foresta anche se di solito non lascio mai questo laghetto. Ora però, ho paura che dovrò farlo... e per sempre”.
Leo iniziava a capire. Quella ninfa bellissima era come la principessa di un regno che non esisteva più. Streghe, fate, fauni, folletti... tutto ciò che aveva popolato un tempo quella foresta riempiendola di magia e potere ora non c'era più.
Ti ringrazio per aver salvato questo satiro” continuò la ninfa “E' l'ultimo dei miei fratelli in tutta la regione. Stavo per abbandonare questi luoghi per cercare un altro posto lontano in cui creare un nuovo regno ma non so se avrei retto la tristezza nel farlo da sola. Ora almeno hai salvato il mio ultimo amico”.
Anch'io ti ringrazio tanto, nobile Cavaliere del Graal” disse il satiro “Mi hai risparmiato la prigionia e chissà quante sofferenze nelle orribili prigioni di quelle persone”.
Ma dove potete fuggire?” chiese Leo “Non c'è più posto per chi è come voi, purtroppo. Ovunque, in tutta Europa, le creature luminose vengono cacciate, imprigionate, le loro foreste abbattute, le loro grotte, interrate, i loro laghetti prosciugati. In qualsiasi posto andrete prima o poi i Neri Esecutori vi raggiungeranno”
Accadrà sicuramente” gli disse con voce delicata la ninfa, come una carezza di voce “Ma non è un buon motivo per smettere di illuminarsi oggi. Ogni giorno è una benedizione. Tu credi di non aver alcuna speranza di cambiare le cose. Eppure una parte di te ha voluto liberare una creatura che avresti dovuto imprigionare rischiando la tua vita. Può un singolo satiro cambiare le cose? O una sola ninfa? O un cavaliere solitario? Persino questo lago è fatto di piccolissime gocce d'acqua. E senza di esse non esisterebbe”.
Dobbiamo andare” disse ancora la ninfa “E anche tu devi trovare un luogo sicuro. Ci hai aiutati e voglio ricambiare la tua generosità e il tuo coraggio”.
La ninfa fece un incantesimo. Con un gesto della mano un grande strato di muschio profumato si staccò dalla base di alcuni alberi e si modellò per magia a creare un mantello verde con cappuccio, caldo e comodo, mentre dal laghetto uscì fluttuando una conchiglia piena di acqua fresca da usare come borraccia per un viaggio.
Leo iniziò a togliersi uno a uno i pezzi della sua armatura lanciandoli man mano nel lago per nasconderli affinché nessuno mai li ritrovasse, poi coprì i suoi poveri abiti col mantello di muschio.
Ma c'era ancora una cosa che portava con sé. La sua spada da cavaliere del Graal. Non poteva portarla con sé perché lo legava a un passato che voleva dimenticare, ma non aveva il coraggio di liberarsene. Sull'impugnatura era scritto “Folgore”, il nome che aveva dato alla spada il giorno del proprio giuramento.
D'un tratto sentì un forte boato in cielo. Poi un altro e poi pian piano il rumore delle gocce di pioggia che iniziavano a cadere e a battere sulle foglie che creavano il tetto naturale sulla radura mentre iniziava il temporale.
Leo si ricordò che il tuono era una delle manifestazioni del potere di Dio e i cavalieri di un tempo chiamavano questo potere con un nome: Thor.
Ora, purtroppo, gli Esecutori impedivano di usare quel nome e tante altre parole antiche, ma Leo si ricordò di una cosa che aveva letto di nascosto su Thor proprio in un libro proibito... uno di quei libri che gli Esecutori portavano con sé e non facevano toccare a nessuno.
Non lontano dal lago sorgeva una grossa roccia proprio sotto un punto in cui il tetto di rami e foglie si apriva leggermente facendo vedere il cielo, nero e solcato dai lampi.
Leo si mise in piedi davanti alla roccia. Quando esplose un forte tuono e un lampo luminosissimo solcò il cielo, Leo alzò la spada verso il cielo e urlò il nome del potere di Dio.
THOR!!!!!”.
Il lampo si allungò fin quasi a terra e colpì magicamente la spada Folgore. Leo guardò la lama che ora brillava di un blu elettrico e aveva in sé il potere di Thor.
Con un urlo calò la punta della spada incandescente verso la roccia e la conficcò nella dura pietra come se fosse burro.
Il satiro e la ninfa avevano guardato ammirati quella scena e quella manifestazione di forza e magia.
Dopo qualche istante la luce blu che ancora si intravvedeva uscire dalla roccia sparì. 
La Spada nella Roccia
Leo impugnò la spada che era quasi del tutto conficcata in quella pietra e provò a estrarla, ma non si mosse. Era immobile, completamente bloccata. Nessuno al mondo avrebbe potuto prenderla.
La ninfa si avvicinò e passò la mano vicino all'impugnatura della spada facendo comparire sulla pietra delle rune, segni simili ad antiche lettere magiche.
Poi si voltò verso il satiro chiamandolo a sé. Le due Creature di Luce salutarono nuovamente Leo in silenzio, con lo sguardo e un gesto della mano, e poi, infine, si allontanarono davvero e per sempre sparendo tra gli alberi verso nord.

Rimasto solo, Leo si chinò a guardare meglio quelle rune, perché anni prima aveva imparato a leggere quei caratteri misteriosi.
Poi, commosso, voltò le spalle alla Spada nella Roccia e si incamminò per andare via, senza una direzione precisa, tirandosi il cappuccio di muschio sulla testa e legando per bene alla cintura la conchiglia che faceva da borraccia.

La spada sarebbe rimasta conficcata e bloccata in quella roccia per secoli. Le piante e le erbe della foresta l'avrebbero nascosta crescendo, poi sarebbero morte e poi l'avrebbero nascosta di nuovo chissà quante volte. Ma il messaggio scritto sulla pietra dalla ninfa con le rune magiche sarebbe rimasto lì per sempre sino al giorno in cui un'anima nobile non avrebbe saputo leggerlo:

Qui ha posto la sua spada l'ultimo cavaliere di questa era perché nessuno possa usarla per fare del male
Qui potrà estrarre questa spada il primo cavaliere
di un'era che verrà per tornare a fare del bene

... potrà estrarre questa spada il primo cavaliere di un'era che verrà...