La guerra è pace,
1984, George Orwell
Abbiamo visto come la guerra capitalista rappresenti in tutto e per tutto un regalo fatto alle oligarchie che hanno la possibilità di investire nel conflitto
e di trarne successivamente vantaggi anche non necessariamente
economici ma politici e sociali.
Tralasciando volutamente
ogni discorso sulla genesi del denaro e sulle modalità con le quali
uno stato potrebbe sovranamente dotarsi dello stesso, si è concluso
che dalla prospettiva dei popoli è un non senso che il proprio paese
utilizzi i propri denari per condurre una guerra (dimostrando quindi
di avere abbondanti risorse pubbliche da investire) quando un uso
pacifico di quei soldi potrebbe soddisfare le reali esigenze della
gente in modo molto più efficace.
Per rafforzare questo
concetto, stabilito da una breve analisi dei costi delle guerre in
Iraq e Afghanistan, si vuole ora prendere in esame uno spreco
clamoroso e di più difficile quantificazione, ossia i materiali
andati inutilmente perduti nella Seconda Guerra Mondiale.
La mole di lavoro,
energia e materiali gettati nella fornace di quel conflitto ha
raggiunto un picco che sarà forse eguagliato da una Terza Guerra
Mondiale, ma il quadro di spreco che dipinge vale concettualmente per
ogni altra guerra moderna condotto sullo sfondo dell'ideologia
capitalista.
Ecco di seguito alcuni
dati sparsi, i pochi che sono riuscito a recuperare, per dare un'idea
dello sforzo produttivo profuso nel sostenere il conflitto:
- fra il 1940 e il 1945 l'URSS ha costruito 105.000 carri armati e semoventi;
- fra il 1939 e il 1945 i tedeschi ne hanno costruiti 97.000;
- fra il 1941 e il '45 gli USA ne hanno costruiti 101.000;
- nell'estate del 1939 la Luftwaffe tedesca disponeva di oltre 4.000 velivoli e 2 milioni di uomini;
- nello stesso momento la Royal Air Force Britannica aveva 2.000 velivoli;
- l'Italia contava poco più di 3.200 aerei;
- l'URSS ne aveva ben 15.000 e tra il 1939 e il '40 era stata in grado di costruirne 400 al mese;
- il Giappone ne aveva oltre 5.000;
- gli USA avevano complessivamente oltre 7.000 aerei.
Questi dati, semplici e
imparziali, vanno tradotti in modo concettuale, se non matematico,
pensando alle migliaia di tonnellate di metallo utilizzate per la
costruzione di questi mezzi, alla quantità di energia elettrica
impiegata, alla forza lavoro, alle migliaia di ore che i soldati
hanno impiegato in addestramento e in battaglia, alla quantità di
carburante impiegato per muovere questi mezzi.
E dal computo abbiamo
escluso le navi da guerra, forse la voce che maggiormente avrebbe
fatto schizzare verso l'alto il calcolo delle risorse materiali
consumate nella seconda guerra mondiale, e ogni altra produzione
meccanica come i veicoli, le armi individuali, l'artiglieria e le
munizioni coi rispettivi processi produttivi, e le stesse uniformi.
Inoltre bisogna
considerare tutte le strutture logistiche costruite appositamente a
fini bellici e che hanno fagocitato enormi quantità per esempio di
calcestruzzi e il relativo monte ore lavorativo degli operai addetti
alla costruzione. Non solo caserme, ma strade, ponti d'emergenza,
migliaia e migliaia di torrette e bunker (si pensi al solo Vallo
Atlantico tedesco). Nel caso dello sbarco in Normandia gli americani
hanno addirittura realizzato un intero porto in sezioni che hanno
trasportato al di là della Manica e assemblato dopo lo sbarco per
facilitare l'arrivo di nuovi mezzi.
Consideriamo oltretutto
le risorse mediche che si sono spese durante la guerra per la cura
dei feriti, dei malati, le operazioni chirurgiche, i medicinali e
infine il sapere intellettuale, inteso come ingegneri e progettisti
che hanno messo la propria scienza per anni a servizio dello sviluppo
bellico.
Fare un calcolo totale di
quanto sia stato speso nella Seconda Guerra Mondiale in termini di
risorse e potenziale umano è difficilissimo, ma possiamo farcene
un'idea con la semplice logica.
Se, ad esempio, tutto il
metallo impiegato per gli armamenti fosse stato usato per realizzare
treni e ferrovie, quante centinaia di chilometri di rotaie sarebbero
state realizzate?
E se anziché produrre
scarponi e vestiario per i soldati fossero stati realizzati vestiti e
scarpe per la popolazione civile più povera?
E ancora, quante
abitazioni si sarebbero potute realizzare coi calcestruzzi consumati
a scopi logistici e quante di esse avrebbero ricevuto luce e calore
facendo un miglior uso dell'energia impiegata nella produzione
bellica?
E quanti milioni di
persone avrebbero potuto usufruire di migliori cure mediche in vece
dei soldati mandati a combattere?
Riepilogando tutte queste
domande materialistiche in un'unica grande domanda etica possiamo
chiederci: quanto meglio sarebbe stata l'umanità investendo tutti
questi materiali per il miglioramento delle condizioni di vita della
gente anziché sprecarli nella guerra e quanto quindi la popolazione
avrebbe negato il proprio consenso al conflitto?
Naturalmente a questo
punto potrebbe subentrare una questione di responsabilità storica
che va liquidata velocemente non essendo del tutto inerente il
discorso. Qualcuno potrebbe dire che alla fine tutto questo spreco,
davvero poco necessario di per sé, va ascritto alle potenze
nazifasciste che avrebbero provocato il conflitto; chi scrive è di
segno opposto e crede che siano stati invece i regimi occidentali a
volere la guerra a ogni costo. Non dimentichiamo infine che si è
deciso per comodità di analizzare uno specifico conflitto, ma il
ragionamento vale per ogni altra singola guerra moderna.
Ma il punto non è questo
perché a monte delle divergenti valutazioni storiche la
constatazione oggettiva e uguale per tutti è che la guerra, sia la
Seconda Guerra Mondiale nello specifico che la guerra in generale, è
uno strumento inutile almeno da questa prospettiva in quanto mette
letteralmente a morte tutto ciò che potrebbe essere usato per
migliorare la vita della gente risolvendo quei problemi che con le
armi possono solo essere mascherati o dirottati.
Nemmno può stare in
piedi da parte di uno stato la giusitificazione secondo cui un
conflitto viene combattuto per guadagnare migliori risorse, dal
momento in cui la possibilità di combattere la guerra dimostra che
delle risorse spendibili pacificamente già ci sono, oppure per
migliorare la propria sicurezza quando l'uso a fini economici e
sociali di quanto investito militarmente potrebbe invece spegnere
ogni odio e rancore internazionali.
E' in questo senso che ci
viene in aiuto George Orwell il quale nel suo 1984, un libro
meraviglioso nella capacità di descrivere scientificamente il futuro
totalitario e globalista, seppure dai contorni terribili, spiega come
la guerra sia un mezzo fondamentale per le orligarchie al fine di
mantenere il potere. Nel corso del proprio sviluppo, spiega Orwell,
la società raggiunge un determinato livello di capacità produttiva
e tecnologica tale da poter soddisfare abbondantemente i bisogni
necessari e superflui di ciascuno oltre al suo arricchimento
intellettuale. Ma è chiaro che un simile livellamento verso l'alto
del benessere materiale e culturale accompagnato magari da una
riduzione del tempo lavorativo grazie a un uso sapiente della
tecnologia metterebbe in crisi la posizione dei dominanti.
Poiché per questi
sarebbe impossibile imporre un ridimensionamento della produzione e
della tecnica al fine di ridurre le risorse disponibili per la
società, ecco quindi che diventa necessario far sì che le risorse
stesse vadano distrutte anziché distribuite a beneficio di tutti.
E lo strumento unico per
distrurre queste risorse altrimenti spendibili per il bene e
l'elevazione umana è la guerra: una conclusione del tutto
congruente con l'analisi specifica di cui sopra sulla Seconda Guerra
Mondiale.
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