martedì 26 novembre 2013

La guerra capitalista, idolatria dello spreco




La guerra è pace, 1984, George Orwell

Abbiamo visto come la guerra capitalista rappresenti in tutto e per tutto un regalo fatto alle oligarchie che hanno la possibilità di investire nel conflitto e di trarne successivamente vantaggi anche non necessariamente economici ma politici e sociali.
Tralasciando volutamente ogni discorso sulla genesi del denaro e sulle modalità con le quali uno stato potrebbe sovranamente dotarsi dello stesso, si è concluso che dalla prospettiva dei popoli è un non senso che il proprio paese utilizzi i propri denari per condurre una guerra (dimostrando quindi di avere abbondanti risorse pubbliche da investire) quando un uso pacifico di quei soldi potrebbe soddisfare le reali esigenze della gente in modo molto più efficace.

Per rafforzare questo concetto, stabilito da una breve analisi dei costi delle guerre in Iraq e Afghanistan, si vuole ora prendere in esame uno spreco clamoroso e di più difficile quantificazione, ossia i materiali andati inutilmente perduti nella Seconda Guerra Mondiale.
La mole di lavoro, energia e materiali gettati nella fornace di quel conflitto ha raggiunto un picco che sarà forse eguagliato da una Terza Guerra Mondiale, ma il quadro di spreco che dipinge vale concettualmente per ogni altra guerra moderna condotto sullo sfondo dell'ideologia capitalista.

Ecco di seguito alcuni dati sparsi, i pochi che sono riuscito a recuperare, per dare un'idea dello sforzo produttivo profuso nel sostenere il conflitto:

  • fra il 1940 e il 1945 l'URSS ha costruito 105.000 carri armati e semoventi;
  • fra il 1939 e il 1945 i tedeschi ne hanno costruiti 97.000;
  • fra il 1941 e il '45 gli USA ne hanno costruiti 101.000;
  • nell'estate del 1939 la Luftwaffe tedesca disponeva di oltre 4.000 velivoli e 2 milioni di uomini;
  • nello stesso momento la Royal Air Force Britannica aveva 2.000 velivoli;
  • l'Italia contava poco più di 3.200 aerei;
  • l'URSS ne aveva ben 15.000 e tra il 1939 e il '40 era stata in grado di costruirne 400 al mese;
  • il Giappone ne aveva oltre 5.000;
  • gli USA avevano complessivamente oltre 7.000 aerei.

Questi dati, semplici e imparziali, vanno tradotti in modo concettuale, se non matematico, pensando alle migliaia di tonnellate di metallo utilizzate per la costruzione di questi mezzi, alla quantità di energia elettrica impiegata, alla forza lavoro, alle migliaia di ore che i soldati hanno impiegato in addestramento e in battaglia, alla quantità di carburante impiegato per muovere questi mezzi.
E dal computo abbiamo escluso le navi da guerra, forse la voce che maggiormente avrebbe fatto schizzare verso l'alto il calcolo delle risorse materiali consumate nella seconda guerra mondiale, e ogni altra produzione meccanica come i veicoli, le armi individuali, l'artiglieria e le munizioni coi rispettivi processi produttivi, e le stesse uniformi.
Inoltre bisogna considerare tutte le strutture logistiche costruite appositamente a fini bellici e che hanno fagocitato enormi quantità per esempio di calcestruzzi e il relativo monte ore lavorativo degli operai addetti alla costruzione. Non solo caserme, ma strade, ponti d'emergenza, migliaia e migliaia di torrette e bunker (si pensi al solo Vallo Atlantico tedesco). Nel caso dello sbarco in Normandia gli americani hanno addirittura realizzato un intero porto in sezioni che hanno trasportato al di là della Manica e assemblato dopo lo sbarco per facilitare l'arrivo di nuovi mezzi.
Consideriamo oltretutto le risorse mediche che si sono spese durante la guerra per la cura dei feriti, dei malati, le operazioni chirurgiche, i medicinali e infine il sapere intellettuale, inteso come ingegneri e progettisti che hanno messo la propria scienza per anni a servizio dello sviluppo bellico.

Fare un calcolo totale di quanto sia stato speso nella Seconda Guerra Mondiale in termini di risorse e potenziale umano è difficilissimo, ma possiamo farcene un'idea con la semplice logica.
Se, ad esempio, tutto il metallo impiegato per gli armamenti fosse stato usato per realizzare treni e ferrovie, quante centinaia di chilometri di rotaie sarebbero state realizzate?
E se anziché produrre scarponi e vestiario per i soldati fossero stati realizzati vestiti e scarpe per la popolazione civile più povera?
E ancora, quante abitazioni si sarebbero potute realizzare coi calcestruzzi consumati a scopi logistici e quante di esse avrebbero ricevuto luce e calore facendo un miglior uso dell'energia impiegata nella produzione bellica?
E quanti milioni di persone avrebbero potuto usufruire di migliori cure mediche in vece dei soldati mandati a combattere?

Riepilogando tutte queste domande materialistiche in un'unica grande domanda etica possiamo chiederci: quanto meglio sarebbe stata l'umanità investendo tutti questi materiali per il miglioramento delle condizioni di vita della gente anziché sprecarli nella guerra e quanto quindi la popolazione avrebbe negato il proprio consenso al conflitto?

Naturalmente a questo punto potrebbe subentrare una questione di responsabilità storica che va liquidata velocemente non essendo del tutto inerente il discorso. Qualcuno potrebbe dire che alla fine tutto questo spreco, davvero poco necessario di per sé, va ascritto alle potenze nazifasciste che avrebbero provocato il conflitto; chi scrive è di segno opposto e crede che siano stati invece i regimi occidentali a volere la guerra a ogni costo. Non dimentichiamo infine che si è deciso per comodità di analizzare uno specifico conflitto, ma il ragionamento vale per ogni altra singola guerra moderna.

Ma il punto non è questo perché a monte delle divergenti valutazioni storiche la constatazione oggettiva e uguale per tutti è che la guerra, sia la Seconda Guerra Mondiale nello specifico che la guerra in generale, è uno strumento inutile almeno da questa prospettiva in quanto mette letteralmente a morte tutto ciò che potrebbe essere usato per migliorare la vita della gente risolvendo quei problemi che con le armi possono solo essere mascherati o dirottati.
Nemmno può stare in piedi da parte di uno stato la giusitificazione secondo cui un conflitto viene combattuto per guadagnare migliori risorse, dal momento in cui la possibilità di combattere la guerra dimostra che delle risorse spendibili pacificamente già ci sono, oppure per migliorare la propria sicurezza quando l'uso a fini economici e sociali di quanto investito militarmente potrebbe invece spegnere ogni odio e rancore internazionali.

E' in questo senso che ci viene in aiuto George Orwell il quale nel suo 1984, un libro meraviglioso nella capacità di descrivere scientificamente il futuro totalitario e globalista, seppure dai contorni terribili, spiega come la guerra sia un mezzo fondamentale per le orligarchie al fine di mantenere il potere. Nel corso del proprio sviluppo, spiega Orwell, la società raggiunge un determinato livello di capacità produttiva e tecnologica tale da poter soddisfare abbondantemente i bisogni necessari e superflui di ciascuno oltre al suo arricchimento intellettuale. Ma è chiaro che un simile livellamento verso l'alto del benessere materiale e culturale accompagnato magari da una riduzione del tempo lavorativo grazie a un uso sapiente della tecnologia metterebbe in crisi la posizione dei dominanti.
Poiché per questi sarebbe impossibile imporre un ridimensionamento della produzione e della tecnica al fine di ridurre le risorse disponibili per la società, ecco quindi che diventa necessario far sì che le risorse stesse vadano distrutte anziché distribuite a beneficio di tutti.
E lo strumento unico per distrurre queste risorse altrimenti spendibili per il bene e l'elevazione umana è la guerra: una conclusione del tutto congruente con l'analisi specifica di cui sopra sulla Seconda Guerra Mondiale.

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