Per iniziare questa
riflessione occorre ricordare una mia personale esperienza educativa
molto importante.
Sono cresciuto in una
famiglia in cui in tempi decisamente non sospetti – quando parole
come "culo" e "ricchione" si potevano dire senza
essere messi alla forca, per quanto brutto fosse - sono stato educato
al pieno rispetto delle persone omosessuali. Cosa che può apparire
strana soprattutto per i tempi cui mi riferisco, è stato soprattutto
il mio amato padre a educarmi a questa forma di rispetto
sottolineando sempre come queste persone non facessero nulla di male
e non togliessero niente a nessuno nel vivere la propria specificità.
A livello personale credo
di aver iniziato a realizzare pienamente questo rispetto,
sganciandomi quindi dalla semplice emulazione paterna, quando nel
1991 è morto Freddie Mercury, il cantante dei Queen, un gruppo che
mio padre apprezzava molto. Proprio in quella circostanza ho iniziato
ad ascoltare con passione le loro canzoni e a diventarne appassionato
a soli dieci anni. Inizialmente opponevo ancora una certa resistenza
all'idea che "Freddie" fosse gay e ingenuamente
sottolineavo al mio babbo che in certi spezzoni di video o
documentari su di lui avevo visto l'artista baciare qualche donna:
"Visto papà? Non è culo! Ha baciato una donna". Ma
la mia ingenuità di ragazzetto di dieci anni non poteva nascondere
la realtà e alla fine il mio orgoglio maschile ha dovuto far spazio
all'idea che il mio cantante preferito di allora (oltre che morto...)
fosse gay. Può sembrare un passaggio banalissimo, ma nella mia mente
adolescenziale è stato come spalancare una finestra. Se un
omosessuale poteva creare delle canzoni così belle che ascoltavo
senza sosta allora la saggezza proletaria di mio padre aveva ragione:
gli omosessuali erano e sono persone da rispettare perché non
facevano nulla di male e non toglievano niente a nessuno. Oggi
aggiungerei che erano e sono persone, punto. E devono
poter vivere la propria vita, intesa anche come vita di coppia con
tutto quello che ne consegue a livello normativo, mentre la cara e
vecchia educazione civica (che d'ora in avanti vorrei opporre
all'ideologia razzista del gender) deve necessariamente tener
conto di ogni personalità ed orientamento sessuale e sentimentale
nell'educare i ragazzi.
Con questo sottofondo
educativo sono cresciuto senza troppa sintonia con la maggior parte
dei miei coetanei ma ho saputo accogliere il valore aggiunto della
specificità che persone diverse – termine ormai bandito e
condannato dal sistema perché vi si accosta un valore
discriminatorio quando in realtà è solo una constatazione, diverso
nei contenuti, uguale nella dignità – sapevano dare alla comunità.
Ho quindi interiorizzato il "mito" dell'omosessuale che
solidarizzava coi problemi femminili (per cui l'amico gay era la
persona migliore con cui far sfogare la morosa dopo un litigio) e che
si prestava generosamente a lavori ad alto valore sociale, come
l'insegnamento, l'assistenza alle persone, la cura dell'arte. Un'idea
forse un po' limitante, stereotipa e "eterosessuale"
dell'omosessualità, ma un'idea che comunque, nessuno lo può negare,
funziona. Funziona perché, come detto poco sopra, costituisce
un valore aggiunto, permette a un gruppo di persone, lo ribadisco,
diverse – e ribadisco anche che "diverse" non vuol dire
"inferiori" - di eccellere contribuendo allo stesso tempo
alla crescita e alla prosperità della comunità.
Ma negli ultimi anni
questa mia visione, questa mia simpatia verso quella parte di società
è andata cambiando. E significativamente anche il mio papà, che non
ha mutato di uno spillo le sue posizioni di venticinque anni fa, è
disorientato (non oso dire contrariato perché non posso parlare in
sua vece) dalla piega che gli eventi hanno preso.
Andando oltre tutte le
considerazioni, comunque validissime, che si possono fare per
smontare pezzo per pezzo le richieste dei movimenti LGBTI, c'è
qualcosa di profondamente distorto nel profondo di queste pretese e,
per la prima volta, oserei dire qualcosa di innaturale.
Quando gli operai hanno
scioperato nel corso dei decenni lo hanno fatto per migliorare la
propria situazione, per rivendicare salari, diritti, condizioni di
lavoro migliori, ma non hanno mai messo in dubbio la propria
specificità. Erano, e sono, operai che vogliono essere riconosciuti
per quello che sono, non scioperano e non protestano per voler essere
qualcosa che non sono, men che meno per essere i padroni.
Le richieste dei
movimenti LGBTI sono invece profondamente e innaturalmente distanti
da questa prospettiva ed è per questo che non ho per esse alcuna
simpatia. Se l'operaio lotta per poter essere un operaio migliore,
l'omosessuale non lotta assolutamente per essere un omosessuale
migliore. Questi gruppi non chiedono maggior riconoscimento e dignità
per la propria specificità, ma chiedono di poter essere quello che
non sono, ossia parodie di eterosessuali, vedendosi attribuiti
dei diritti giuridici (come la genitorialità) i cui doveri
corrispondenti essi non possono onorare a meno di introdurre nella
società artifici che non solo sono a propria volta giuridici
(l'adozione del figliastro da parte del non-padre o della non-madre)
ma anche scientifici ed eugenetici (ad esempio l'utero in affitto).
Non sono un grande amante
della psicanalisi, una disciplina che da troppo tempo ha abbandonato
la strada della ricerca scientifica per limitarsi ad essere a
posteriori il puntello delle ideologie politiche, eppure faccio
fatica a interpetare questo deviazionismo dei gruppi LGBTI senza
considerare proprio qualche base di uno dei pochissimi psicanalisti
di spessore e che, combinazione, oggi è messo al bando, Carl Gustav
Jung e la sua scoperta dell'inconscio collettivo.
Quando una diversità è
accettata essa viene manifestata senza problemi.
E proprio oggi che il
mondo era decisamente pronto, dopo secoli di discriminazioni, ad
accogliere e valorizzare la comunità omosessuale per il contributo
che può dare, ecco che questa apparentemente impazzisce iniziando a
volersi imporre per tutt'altro. E questo è avvenuto perché il
venire allo scoperto delle persone gay non ha solo dato loro il
coraggio di rivendicare dei diritti legittimi ma a molti di loro (non
tutti e poi vedremo perché) anche di dire, per la prima volta e
facendosi reciprocamente forza, di riconoscere nel proprio
inconscio collettivo junghiano il disagio della propria condizione,
una condizione evidentemente per nulla accettata in barba a ogni
ostentazione e apparenza.
Quando si realizza la
propria diversità ma non la si accetta l'unica reazione che una
mente non serena sa produrre è l'imposizione violenta di un
livellamento a tutto ciò che sta fuori da sé, ed ecco perché oggi
gran parte del mondo LGBTI pretende non tanto le unioni civili, ma
una loro equiparazione al matrimonio e la possibilità, attraverso
artifici, di essere genitori. E' una maschera, avrebbe detto Jung,
col quale l'inconscio collettivo di queste persone nasconde il
disagio e la persona stessa vuole sentirsi normale perché in realtà
non è così che si percepisce. Avere la possibilità di fare quello
che fanno le coppie eterosessuali, sposarsi e fare figli, è un modo
potente per non sentirsi diversi nel momento in cui la diversità non
è accettata mentre l'ideologia gender con la sua pretesa di
abbattere la naturale dicotomia maschio-femmina è solo un triste
occultamento di una realtà che non si vuole accettare perché in
quella dicotomia, magari, ci si sente stretti per un proprio vissuto
e non riuscendo a venirne fuori si vuole imporre questo disagio a
tutti gli altri.
Ma non tutti i gay e le
lesbiche si sono prestati a questa sciocchezza colossale. Ve ne sono
alcuni e provenienti da diverse opinioni (da Giorgio Ponte ad Alfonso
Signorini) che non hanno accettato di voler piallare la dicotomia tra
i sessi e che ritengono, forse perché anche loro vengono da un padre
e una madre, che un bambino come condizione non sufficiente ma
necessaria a un corretto sviluppo, debba avere due genitori di sessi diversi. E sembrano essere, fin dai toni usati e dalle
argomentazioni proposte, persone serene, a differenza di gran parte
del mondo LGBTI, persone che hanno accettato la propria specificità
(e perché non dovrebbero?) e che non sentono il bisogno di sbattere
in faccia al mondo alcuna rabbia. Non occorre un esegeta per sapere
cosa oggi avrebbe detto il grande Pier Paolo Pasolini.
Anche nell'età classica,
quando l'omosessualità era vissuta pubblicamente o era addirittura
maggioritaria presso le élite, nessuno si era mai sognato di
ridicolizzare la famiglia proponendone una grottesca parodia.
Alcibiade ad Atene, guida politica della più grande superpotenza
dell'epoca, era amante di Socrate e il loro legame era
tranquillamente espresso in simposi in cui gli invitati erano
omosesseuali e bisessuali della classe dirigente, ma nemmeno tutti
costoro dall'alto della propria posizione hanno mai pensato di
scardinare il corretto ordine delle cose perché la loro condizione
era vissuta serenamente, naturalmente. Platone, omosessuale e
misogino, ha sempre riconosciuto il primato della famiglia composta
da uomo e donna come prima comunità su cui deve appoggiarsi la
polis.
Lo sforzo che le comunità
LGBTI dovrebbero fare per riequilibrare non se stesse, ma quella
società che stanno artificialmente dividendo col proprio
atteggiamento distruttivo, è quello di usare il coraggio che sino ad
oggi hanno mostrato non per chiedere il superfluo ma per guardarsi
dentro e riconoscere che gay e lesbiche possono dare qualcosa di più
alla comunità solo nel momento in cui riconoscono la propria
diversità anziché esercitare una violenza che è prima di tutto su
se stesse.
Gli omosessuali
appiattendosi per un capriccio inconscio su ciò che non sono e che
non potranno mai essere – e non sarà l'ideologia gender a
nasconderlo perché sappiamo come vanno a finire le cose quando si
impongono le leggi razziali – non aggiungeranno mai nulla ma si
limiteranno a togliere: agli altri come a se stessi.
3 commenti:
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