giovedì 2 ottobre 2014

Addio Peter Pan - Omaggio a Robin Williams

di Paolo Bogni

Chi pensa che la Politica sia il momento più alto della condivisione sociale ha bene in mente quanto difficile sia il cammino per trasformare la realtà nella prospettiva – se non dell’adesione totale – quantomeno dell’avvicinamento alla Verità, che ha tra le sue funzioni quella di indicare nella Bellezza e nella Giustizia i cardini della convivenza comunitaria tra persone libere e responsabili. Chi ritiene che la Politica oggi sia il luogo in cui la prassi trasformatrice abbia il compito più arduo che non in passato - perché mai nella Storia dell’umanità la Bellezza e la Giustizia sono state così abissalmente distanti dal vivere di ognuno e dal convivere di tutti -, questi non può che abbracciare il Sogno come modalità di azione per trasformare una realtà in cui l’umano è tragicamente distante dalle sue più vere potenzialità, quelle che mirano naturalmente alla Bellezza e alla Giustizia. John Keating, il Capitano de L’Attimo Fuggente ci ricordava che le parole e le idee possono (se realizzate) cambiare il mondo. Robin Williams – artista cinematografico – ha l’enorme merito di averci restituito la vera dimensione del Sogno come bisogno dell’utopia in quanto necessità di crescita dell’uomo e di averlo sottratto – il Sogno - al ruolo odierno e meschino di mero ed effimero desiderio di svago e a capriccio consumistico. La grandezza di Robin Williams è tanto più apprezzabile in quanto la sua magia era vissuta nel palcoscenico nichilista di Hollywood, nel girone infernale dello spettacolo del nulla che descrive l’incoscienza del nostro tempo. E’ da sottolineare di quanto non fosse impermeabile egli stesso al politicamente corretto. A riguardo non sono da tacere le sue simpatie sioniste, sempre deprecabili a qualsiasi latitudine ed espresse da chicchessia. Il nulla hollywoodiano – sovrastruttura raffinata e potente – impone violentemente dazio ai suoi geni e, mentre concede loro l’identificazione a sfondo critico tra la maschera e il volto all’interno della trama di un film, fuori dal set ne obbliga la drammatica scissione tra lo stesso genio portatore di eventuale critica ai costumi, alla società e all’epoca odierna – da un lato - e l’attore famoso e celebrato epperò campione – nella vita “privata” – di omologazione e di vizi sistematici - dall’altro lato -. Nemmeno lui, dunque, era scevro da contraddizioni. Però a noi, qui, interessa l’artista e il suo indubbio genio. Quel genio che può rappresentare un granello di sabbia negli ingranaggi di un sistema infernale da respingere. L’ironia con cui lavorava l’umanità non era mai scherno o evasione ma una recitazione sublime in cui maschera e volto erano un tutt’uno con il personaggio che aveva in cura, in vista – socraticamente - del parto, sotto molti aspetti doloroso, di quella Verità ricercata con la mediazione soggettiva dell’Arte. I suoi personaggi non hanno nulla di inventato. Essi, al contrario, già vivono in potenza nei sostrati di una coscienza sofferente che contraddistingue l’umanità di questa Epoca. Il motivo della popolarità di Robin Williams, infatti, non è da ricercarsi nelle tecniche della sua comicità, nel suo istrionismo o nella semplice bonarietà che le trame - in cui s’incastravano le sue maschere - ci tramandano. Non sono quelli i principali motivi per i quali Robin Williams è amato dalle persone che vivevano i suoi film. Egli è tragicamente (e molto spesso inconsapevolmente) amato, invece, per quella sua straordinaria capacità di risvegliare nel sonno della nostra sofferenza il sognatore che è ingabbiato in ognuno di noi, incarcerato e umiliato dal nichilismo della nostra Epoca. Sono tre i film di Robin Williams che mi hanno fatto innamorare di lui. Sono “La Leggenda del Re Pescatore – 1991”, visto a Viareggio nell’estate del 1992; “L’Attimo Fuggente – 1989”, che vidi nella primavera nel 2009 e “Al di la dei Sogni – 1998” visto – in un’atmosfera magica e irripetibile – nell’autunno del 2012. Sono i soli tre film che ho visto nei quali tra gli interpreti c’era Robin Williams, sebbene nella sua carriera egli abbia partecipato ad oltre sessanta pellicole, senza contare le innumerevoli serie televisive. Il Sogno è il filo rosso che lega le pur diversissime trame in cui Robin è il professore di Storia Henry Sagan (da Clochard, Parry), il professore di letteratura John Keating e il pediatra Chris Nielsen. Il Sogno come tentativo umano di riabbracciare il divino, per vincere la morte e per rimuovere l’angoscia che porta con sé. Il Sogno come viaggio di ritorno alla luce originaria, al calore incessante, al fuoco dell’eterna vita. Il Sogno come anelito e nostalgia dell’assoluto. Il Sogno, però, non si alimenta da solo e non vive di vita propria. Ha bisogno dell’Amore, la cui assenza, rinuncia, sporadicità o incompletezza rappresentano il problema dell’odierna umanità, quella in cui viveva il pur geniale Robin Williams. Il Sacro Graal ricercato dal clochard “pazzo” Parry è il simbolo della grazia divina che non è più anelata dai “normali” di un’umanità spenta e addormentata come quella attuale. Come se la nostalgia dell’assoluto fosse stata rimossa dalla quasi totalità della coscienza umana occidentale – normalizzata nel suo schifo di modernità - e permanesse soltanto nei cuori dei disadattati e nei reietti. Di primissimo acchito, ho vissuto il suicidio di Robin come un’offesa al Sogno, come se esso fosse stato spezzato, troncato, disintegrato. Non è possibile, mi sono detto, che proprio lui abbia compiuto un gesto così orribile. La meraviglia della vita dissolta e annientata. Come se la complessità umana oggetto della sua opera geniale fosse stata ridicolizzata, in un attimo, da un gesto egoista che non ammetteva più e oltre la magica contemplazione e la sofferta sublimazione. E’ rimasto il solo buio come risposta all’indicibile, all’ineffabile, all’ignoto ai quali, però, tutta l’umanità deve rivolgersi con la propria meraviglia vitale. Perché Robin, perché? A quale terribile e meravigliosa domanda tu non hai voluto rispondere? Voglio capire. E’ l’energia dirompente di quella nostalgia dell’assoluto che ti ha indicato la via di fuga dalla vita? Il suicidio è dunque la versione estrema di questa nostalgia e ne rappresenta il tragico cortocircuito? Il suicidio è la fine del viaggio e la rinuncia della méta. Il suicidio è un dono alla sofferenza della vita che, anziché essere celebrata nella sua meravigliosa e contraddittoria totalità, è annunciata come mero preludio alla morte, come disperazione del massimo desiderio che un umano possa avere, quello del ritorno a casa. Robin ha distrutto in un attimo il suo genio. Ha vanificato quel suo disincantare la morte e celebrare la vita delle emozioni, quell’elevare il sentimento - per dirla con il professor Sagan, nella Leggenda del Re Pescatore – a passione, immaginazione e bellezza. Ha dissolto l’energia vitale di quella tensione continua che vibrava nei suoi personaggi, l’ansia costruttiva dell’incompiuto, lo sforzo di rimuovere la frustrazione latente per un vuoto ineffabile e sfuggente, quel suo straordinario sorriso di fronte al fuoco della trincea della vita ove eroicamente si poneva come il Capitano del poema di Orazio. Questi erano i toni dell’opera magica di Robin Williams che davano luce alla sua commedia dai risvolti tragici. L’11 agosto del 2014 è stato, però, sopraffatto dalla suprema delle domande, quella che per sua natura ha il maggiore carico di intensità emotiva, che accompagna sia la speranza di luce quanto le tenebre della disperazione. Come ricongiungermi con quel punto di infinita energia che percepisco essere il luogo da cui provengo e che genera la nostalgia e rinvigorisce il Sogno della sua ricerca e del viaggio del ritorno ad esso? Nei tre film da me visti e prima citati – come presumo in tutta la filmografia di Robin Williams -, il propellente del sogno è l’amore, inteso come donazione, gratuità, disinteresse e sacrificio. I legami tra i personaggi sono vibrati da queste pulsioni e le trame sono una costellazione di relazioni tra persone che strutturano la loro vicinanza formando l’identità di ognuno attraverso il passaggio nell’altro, anche con scambi altamente drammatici quali quelli che hanno caratterizzato il rapporto tra il pediatra e la moglie in Al di là dei sogni o quelli che hanno attraversato il duetto infinito tra il professore/clochard e il disk jockey alcolizzato ne La Leggenda del Re pescatore, per non tacere dello stupendo rapporto di affinità e complicità tra il nuovo professore di letteratura e i suoi allievi ne L’attimo fuggente. L’altro era il vero soggetto, senza che l’io fosse per questo annullato e vilipeso e, anzi, da questo (l’altro) rafforzato nella sua più genuina umanità. L’umanità di Robin non era recitata ma vissuta. Nelle forme più varie e a diversi livelli di registro, in ognuna di queste tre trame vi è una spinta verso l’alto dell’umano. Sussiste un progetto di crescita interno ad un disegno magico che – anche drammaticamente – tende alla ricongiunzione tra i due poli, quello finito dell’uomo e quello dell’immagine eterna da cui proviene e a cui tende. La fragilità del finito e del precario, condizione dell’ultimo uomo, mettono a repentaglio il disinteresse, sconsigliano il sacrificio, frenano la donazione e inficiano la gratuità. L’amore sincopato e vacillante offusca il Sogno, lo inaridisce, e allontana l’uomo dal ritorno verso il punto massimo di energia cosmica. Riduce il Sogno a desiderio e la Casa primordiale a chimera. Lì emergono l’angoscia della morte e il senso dell’inutilità della vita. E’ come se - dalle catacombe della Storia - fossero riemerse le anime dannate di Neal Perry, lo studente allievo di John Keating alla Welton Academy, di Annie Collins-Nielsen, moglie del pediatra Chris Nielsen, e di quel bambino mai nato – figlio di Robin – quarantaquattro anni fa e, al suono di un coro spettrale, si fossero presentate al cospetto dell’angoscia rimossa da Robin attraverso la sublimazione della sua impareggiabile arte. E lì, avessero chiesto il conto a Robin delle sue fragilità, della sua malinconia, della sua depressione. Non è bastato a Robin il ricordo della triade magica costituita dal cuore, dall’amore e dal sogno. Se ne manca anche solo uno, il viaggio è interrotto. Il suicidio è la metafora di questa rinuncia al viaggio e del soffocamento della nostalgia per quel ritorno; il ritorno alla Casa. L’amore imperfetto, debole, parziale e frammentato è il viatico del male che crea sofferenza a se stessi e agli altri. Se non c’è perdono – che riapre all’amore - il male dilaga e annienta l’umanità, la polverizza e la cancella dalla Storia. Il Robin che rivogliamo è quello che là, nelle tenebre, diceva alla moglie disperata che la gente buona finisce all’inferno perché non è capace di perdonarsi. E lui, pur di non abbandonarla, sarebbe restato lì con lei, perdonandola perché, tra i suoi milioni di difetti, era una persona umanamente meravigliosa. Non ho visto Hook-Capitan Uncino, altro famoso film interpretato da Robin Williams. E non lo voglio vedere, né mai lo vedrò. Voglio immaginarmi invece che Robin Williams interpreti Peter Pan in un’altra trama. E’ di un altro Peter Pan che abbiamo bisogno, e lo richiediamo con tutta l’umiltà (non molta) che ci è rimasta. Siamo noi l’Isola che non c’è. Siamo un’umanità che ha smarrito l’amore perché abbiamo soffocato il cuore e abdicato al Sogno. Il Sogno non si alimenta da solo. Ha bisogno dell’amore. L’assenza di amore è il grande problema dell’uomo moderno. Torna a volare con noi Peter Pan. Non lasciarti solo. Non lasciarci soli. Fatti messaggero di quell’amore eterno che dà vita e speranza. Torna ad essere quel medium allegro, vivace, sbarazzino, istrionico e innamorato della vita. Non interrompere la tua pellicola, ti prego, laggiù, nel buio della rassegnata disperazione. Usciamo insieme dall’oscurità delle tenebre. Ridoniamo a noi stessi e al mondo la coscienza della Bellezza e della Giustizia. Ridiamo dignità alla nostra umanità. Perdoniamoci il male che facciamo e che ci infliggiamo. Perdoniamo il male che subiamo. Torniamo a perdonarci e a perdonare.

2 commenti:

Nella Crosiglia ha detto...

Simone un capolavoro di commento che ho letto tutto di un fiato ,e che è bastato a farmi iscrivere al tuo blog...
Le tue parole dove si celebra l'amore in dissolvenza, l'eterno Peter Pan, la dedizione sincera per gli altri e tutto il resto ne fanno veramente un capolavoro e Robin ne sarebbe felice.
Mi sono iscritta come ti dicevo, sperando in un tuo gradito ricambio.
Grazie!
Un abbraccio
http://rockmusicspace.blogspot.it/

Simone ha detto...

Carissima Nella, ti ringrazio per le belle parole. In realtà l'articolo non è mio ma di un mio carissimo amico, Paolo Bogni, che me ne ha chiesto la divulgazione. farò in modo che legga quanto dici e vado subito a conoscere il tuo blog. Seguimi comunque, sto riprendendo a scrivere dopo una pausa estiva prolungata :-)