Chi
pensa che la Politica sia il momento più alto della condivisione
sociale ha bene in mente quanto difficile sia il cammino per
trasformare la realtà nella prospettiva – se non dell’adesione
totale – quantomeno dell’avvicinamento alla Verità, che ha tra
le sue funzioni quella di indicare nella Bellezza e nella Giustizia i
cardini della convivenza comunitaria tra persone libere e
responsabili. Chi ritiene che la Politica oggi sia il luogo in cui la
prassi trasformatrice abbia il compito più arduo che non in passato
- perché mai nella Storia dell’umanità la Bellezza e la Giustizia
sono state così abissalmente distanti dal vivere di ognuno e dal
convivere di tutti -, questi non può che abbracciare il Sogno come
modalità di azione per trasformare una realtà in cui l’umano è
tragicamente distante dalle sue più vere potenzialità, quelle che
mirano naturalmente alla Bellezza e alla Giustizia. John Keating, il
Capitano de L’Attimo
Fuggente ci
ricordava che le parole e le idee possono (se realizzate) cambiare il
mondo. Robin Williams – artista cinematografico – ha l’enorme
merito di averci restituito la vera dimensione del Sogno come bisogno
dell’utopia in quanto necessità di crescita dell’uomo e di
averlo sottratto – il Sogno - al ruolo odierno e meschino di mero
ed effimero desiderio di svago e a capriccio consumistico. La
grandezza di Robin Williams è tanto più apprezzabile in quanto la
sua magia era vissuta nel palcoscenico nichilista di Hollywood, nel
girone infernale dello spettacolo del nulla che descrive
l’incoscienza del nostro tempo. E’ da sottolineare di quanto non
fosse impermeabile egli stesso al politicamente corretto. A riguardo
non sono da tacere le sue simpatie sioniste, sempre deprecabili a
qualsiasi latitudine ed espresse da chicchessia. Il nulla
hollywoodiano – sovrastruttura raffinata e potente – impone
violentemente dazio ai suoi geni e, mentre concede loro
l’identificazione a sfondo critico tra la maschera e il volto
all’interno della trama di un film, fuori dal set ne obbliga la
drammatica scissione tra lo stesso genio portatore di eventuale
critica ai costumi, alla società e all’epoca odierna – da un
lato - e l’attore famoso e celebrato epperò campione – nella
vita “privata” – di omologazione e di vizi sistematici -
dall’altro lato -. Nemmeno lui, dunque, era scevro da
contraddizioni. Però a noi, qui, interessa l’artista e il suo
indubbio genio. Quel genio che può rappresentare un granello di
sabbia negli ingranaggi di un sistema infernale da respingere.
L’ironia con cui lavorava l’umanità non era mai scherno o
evasione ma una recitazione sublime in cui maschera e volto erano un
tutt’uno con il personaggio che aveva in cura, in vista –
socraticamente - del parto, sotto molti aspetti doloroso, di quella
Verità ricercata con la mediazione soggettiva dell’Arte. I suoi
personaggi non hanno nulla di inventato. Essi, al contrario, già
vivono in potenza nei sostrati di una coscienza sofferente che
contraddistingue l’umanità di questa Epoca. Il motivo della
popolarità di Robin Williams, infatti, non è da ricercarsi nelle
tecniche della sua comicità, nel suo istrionismo o nella semplice
bonarietà che le trame - in cui s’incastravano le sue maschere -
ci tramandano. Non sono quelli i principali motivi per i quali Robin
Williams è amato dalle persone che vivevano i suoi film. Egli è
tragicamente (e molto spesso inconsapevolmente) amato, invece, per
quella sua straordinaria capacità di risvegliare nel sonno della
nostra sofferenza il sognatore che è ingabbiato in ognuno di noi,
incarcerato e umiliato dal nichilismo della nostra Epoca. Sono tre i
film di Robin Williams che mi hanno fatto innamorare di lui. Sono “La
Leggenda del Re Pescatore – 1991”,
visto a Viareggio nell’estate del 1992; “L’Attimo
Fuggente – 1989”,
che vidi nella primavera nel 2009 e “Al
di la dei Sogni – 1998”
visto – in un’atmosfera magica e irripetibile – nell’autunno
del 2012. Sono i soli tre film che ho visto nei quali tra gli
interpreti c’era Robin Williams, sebbene nella sua carriera egli
abbia partecipato ad oltre sessanta pellicole, senza contare le
innumerevoli serie televisive. Il Sogno è il filo rosso che lega le
pur diversissime trame in cui Robin è il professore di Storia Henry
Sagan (da Clochard, Parry), il professore di letteratura John Keating
e il pediatra Chris Nielsen. Il Sogno come tentativo umano di
riabbracciare il divino, per vincere la morte e per rimuovere
l’angoscia che porta con sé. Il Sogno come viaggio di ritorno alla
luce originaria, al calore incessante, al fuoco dell’eterna vita.
Il Sogno come anelito e nostalgia dell’assoluto. Il Sogno, però,
non si alimenta da solo e non vive di vita propria. Ha bisogno
dell’Amore, la cui assenza, rinuncia, sporadicità o incompletezza
rappresentano il problema dell’odierna umanità, quella in cui
viveva il pur geniale Robin Williams. Il Sacro Graal ricercato dal
clochard “pazzo” Parry è il simbolo della grazia divina che non
è più anelata dai “normali” di un’umanità spenta e
addormentata come quella attuale. Come se la nostalgia dell’assoluto
fosse stata rimossa dalla quasi totalità della coscienza umana
occidentale – normalizzata nel suo schifo di modernità - e
permanesse soltanto nei cuori dei disadattati e nei reietti. Di
primissimo acchito, ho vissuto il suicidio di Robin come un’offesa
al Sogno, come se esso fosse stato spezzato, troncato, disintegrato.
Non è possibile, mi sono detto, che proprio lui abbia compiuto un
gesto così orribile. La meraviglia della vita dissolta e annientata.
Come se la complessità umana oggetto della sua opera geniale fosse
stata ridicolizzata, in un attimo, da un gesto egoista che non
ammetteva più e oltre la magica contemplazione e la sofferta
sublimazione. E’ rimasto il solo buio come risposta all’indicibile,
all’ineffabile, all’ignoto ai quali, però, tutta l’umanità
deve rivolgersi con la propria meraviglia vitale. Perché Robin,
perché? A quale terribile e meravigliosa domanda tu non hai voluto
rispondere? Voglio capire. E’ l’energia dirompente di quella
nostalgia dell’assoluto che ti ha indicato la via di fuga dalla
vita? Il suicidio è dunque la versione estrema di questa nostalgia e
ne rappresenta il tragico cortocircuito? Il suicidio è la fine del
viaggio e la rinuncia della méta. Il suicidio è un dono alla
sofferenza della vita che, anziché essere celebrata nella sua
meravigliosa e contraddittoria totalità, è annunciata come mero
preludio alla morte, come disperazione del massimo desiderio che un
umano possa avere, quello del ritorno a casa. Robin ha distrutto in
un attimo il suo genio. Ha vanificato quel suo disincantare la morte
e celebrare la vita delle emozioni, quell’elevare il sentimento -
per dirla con il professor Sagan, nella Leggenda
del Re Pescatore
– a passione, immaginazione e bellezza. Ha dissolto l’energia
vitale di quella tensione continua che vibrava nei suoi personaggi,
l’ansia costruttiva dell’incompiuto, lo sforzo di rimuovere la
frustrazione latente per un vuoto ineffabile e sfuggente, quel suo
straordinario sorriso di fronte al fuoco della trincea della vita ove
eroicamente si poneva come il Capitano del poema di Orazio. Questi
erano i toni dell’opera magica di Robin Williams che davano luce
alla sua commedia dai risvolti tragici. L’11 agosto del 2014 è
stato, però, sopraffatto dalla suprema delle domande, quella che per
sua natura ha il maggiore carico di intensità emotiva, che
accompagna sia la speranza di luce quanto le tenebre della
disperazione. Come ricongiungermi con quel punto di infinita energia
che percepisco essere il luogo da cui provengo e che genera la
nostalgia e rinvigorisce il Sogno della sua ricerca e del viaggio del
ritorno ad esso? Nei tre film da me visti e prima citati – come
presumo in tutta la filmografia di Robin Williams -, il propellente
del sogno è l’amore, inteso come donazione, gratuità,
disinteresse e sacrificio. I legami tra i personaggi sono vibrati da
queste pulsioni e le trame sono una costellazione di relazioni tra
persone che strutturano la loro vicinanza formando l’identità di
ognuno attraverso il passaggio nell’altro, anche con scambi
altamente drammatici quali quelli che hanno caratterizzato il
rapporto tra il pediatra e la moglie in Al
di là dei sogni
o quelli che hanno attraversato il duetto infinito tra il
professore/clochard e il disk jockey alcolizzato ne La
Leggenda del Re pescatore,
per non tacere dello stupendo rapporto di affinità e complicità tra
il nuovo professore di letteratura
e
i suoi allievi ne L’attimo
fuggente.
L’altro era il vero soggetto, senza che l’io fosse per questo
annullato e vilipeso e, anzi, da questo (l’altro) rafforzato nella
sua più genuina umanità. L’umanità di Robin non era recitata ma
vissuta. Nelle forme più varie e a diversi livelli di registro, in
ognuna di queste tre trame vi è una spinta verso l’alto
dell’umano. Sussiste un progetto di crescita interno ad un disegno
magico che – anche drammaticamente – tende alla ricongiunzione
tra i due poli, quello finito dell’uomo e quello dell’immagine
eterna da cui proviene e a cui tende. La fragilità del finito e del
precario, condizione dell’ultimo
uomo,
mettono a repentaglio il disinteresse, sconsigliano il sacrificio,
frenano la donazione e inficiano la gratuità. L’amore sincopato e
vacillante offusca il Sogno, lo inaridisce, e allontana l’uomo dal
ritorno verso il punto massimo di energia cosmica. Riduce il Sogno a
desiderio e la Casa primordiale a chimera. Lì emergono l’angoscia
della morte e il senso dell’inutilità della vita. E’ come se -
dalle catacombe della Storia - fossero riemerse le anime dannate di
Neal Perry, lo studente allievo di John Keating alla Welton Academy,
di Annie Collins-Nielsen, moglie del pediatra Chris Nielsen, e di
quel bambino mai nato – figlio di Robin – quarantaquattro anni fa
e, al suono di un coro spettrale, si fossero presentate al cospetto
dell’angoscia rimossa da Robin attraverso la sublimazione della sua
impareggiabile arte. E lì, avessero chiesto il conto a Robin delle
sue fragilità, della sua malinconia, della sua depressione. Non è
bastato a Robin il ricordo della triade magica costituita dal cuore,
dall’amore e dal sogno. Se ne manca anche solo uno, il viaggio è
interrotto. Il suicidio è la metafora di questa rinuncia al viaggio
e del soffocamento della nostalgia per quel ritorno; il ritorno alla
Casa. L’amore imperfetto, debole, parziale e frammentato è il
viatico del male che crea sofferenza a se stessi e agli altri. Se non
c’è perdono – che riapre all’amore - il male dilaga e annienta
l’umanità, la polverizza e la cancella dalla Storia. Il Robin che
rivogliamo è quello che là, nelle tenebre, diceva alla moglie
disperata che la gente buona finisce all’inferno perché non è
capace di perdonarsi. E lui, pur di non abbandonarla, sarebbe restato
lì con lei, perdonandola perché, tra i suoi milioni di difetti, era
una persona umanamente meravigliosa. Non ho visto Hook-Capitan
Uncino,
altro famoso film interpretato da Robin Williams. E non lo voglio
vedere, né mai lo vedrò. Voglio immaginarmi invece che Robin
Williams interpreti Peter Pan in un’altra trama. E’ di un altro
Peter Pan che abbiamo bisogno, e lo richiediamo con tutta l’umiltà
(non molta) che ci è rimasta. Siamo noi l’Isola che non c’è.
Siamo un’umanità che ha smarrito l’amore perché abbiamo
soffocato il cuore e abdicato al Sogno. Il Sogno non si alimenta da
solo. Ha bisogno dell’amore. L’assenza di amore è il grande
problema dell’uomo moderno. Torna a volare con noi Peter Pan. Non
lasciarti solo. Non lasciarci soli. Fatti messaggero di quell’amore
eterno che dà vita e speranza. Torna ad essere quel medium allegro,
vivace, sbarazzino, istrionico e innamorato della vita. Non
interrompere la tua pellicola, ti prego, laggiù, nel buio della
rassegnata disperazione. Usciamo insieme dall’oscurità delle
tenebre. Ridoniamo a noi stessi e al mondo la coscienza della
Bellezza e della Giustizia. Ridiamo dignità alla nostra umanità.
Perdoniamoci il male che facciamo e che ci infliggiamo. Perdoniamo il
male che subiamo. Torniamo a perdonarci e a perdonare.
2 commenti:
Simone un capolavoro di commento che ho letto tutto di un fiato ,e che è bastato a farmi iscrivere al tuo blog...
Le tue parole dove si celebra l'amore in dissolvenza, l'eterno Peter Pan, la dedizione sincera per gli altri e tutto il resto ne fanno veramente un capolavoro e Robin ne sarebbe felice.
Mi sono iscritta come ti dicevo, sperando in un tuo gradito ricambio.
Grazie!
Un abbraccio
http://rockmusicspace.blogspot.it/
Carissima Nella, ti ringrazio per le belle parole. In realtà l'articolo non è mio ma di un mio carissimo amico, Paolo Bogni, che me ne ha chiesto la divulgazione. farò in modo che legga quanto dici e vado subito a conoscere il tuo blog. Seguimi comunque, sto riprendendo a scrivere dopo una pausa estiva prolungata :-)
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