giovedì 9 gennaio 2014

Gesù di Nazareth, l'anello tra Paganesimo e Cristianesimo



Oltre duemila anni di storia non sono bastati al genere umano per metabolizzare il drammatico conflitto che la predicazione di Gesù di Nazareth ha involontariamente scatenato tra le antiche religioni pagane e i Suoi insegnamenti. Del resto è un triste destino dei grandi maestri vedere i propri messaggi fraintesi, manipolati o volutamente distorti già pochi anni dopo la propria scomparsa e il giovane esseno non ha costituito un'eccezione a dispetto del proprio illustre (dire poco...) retaggio familiare.

Gli insegnamenti di Gesù, ripuliti da ogni speculazione umana tanto più distante da ogni corretta interpretazione quanto più radicati in una struttura gerarchica quali le varie confessioni speculative che si sono formate nel tempo, costituiscono in effetti una semplice, seppur consistente, correzione di rotta delle antiche religioni che erano via via deviate dalla propria tensione spirituale originaria sino a divenire incapaci di permettere la trascendenza dell'uomo e l'illuminazione della scintilla divina che ciascuno di noi porta dentro.
In questo senso la predicazione di Gesù Cristo si è rivolta agli ebrei sì, ma anche ai pagani come attestato dai Vangeli (motivo di scandalo per i sacerdoti), accomunando in qualche modo i due culti tra i quali anzi l'ebraismo, come vedremo, era quello che più nei millenni si era allontanato dalla spiritualità originaria, ragion per cui in base il principio evangelico secondo il quale il medico va tra gli ammalati, proprio tra gli ebrei era stato mandato Gesù.

La Bibbia insegna che l'uomo è stato creato a Sua immagine e somiglianza. Tralasciando le interpretazioni più fantasiose in merito, l'esperienza insegna che l'uomo è di per sé un essere di natura spirituale, infinito nelle proprie capacità e proprietà creative, per dirla in un ossimoro un'autentica porzione infinita di quell'emanazione onnipresente che è lo spirito divino emanato direttamente dal Principio al momento della creazione e che, nel linguaggio biblico, è stato poi indicato come Spirito Santo.
Il corpo fisico dovrebbe essere unicamente un veicolo grazie al quale fare una sorta di viaggio terreno ed esperire in questo tempo e in questo spazio una parte del nostro potenziale. Questo mezzo di libertà si è tuttavia trasformato in una prigione nel momento in cui l'uomo, forte del proprio potenziale, ha deciso di utilizzarlo non più in base alla Legge divina ma seguendo una propria legge, nel più classico copione del figlio che, crescendo, decide di abbandonare il cammino indicato dai propri genitori1: questo momento altro non è, per usare termini noti a tutti, che il Peccato Originale.
L'uomo ha finito così per essere oppresso dalla propria fisicità dimenticando letteralmente, vuoi a causa delle fatiche vuoi al contrario dei piaceri contingenti che il corpo comportava e offriva, la propria natura spirituale e di conseguenza il proprio potenziale creativo.
Da questo momento l'esistenza umana si è configurata come una continua elaborazione di culti e rituali tesi a colmare quel vuoto che ha sempre oppresso nel profondo l'essere umano, incapace di capire perché, per quanto potesse sforzarsi di condurre una vita retta, per quanto potesse diventare grande agli occhi degli altri, per quanto potesse accrescere il proprio benessere, per quanto potesse abbandonarsi a ogni sorta di godimento materiale, alla fine era sempre e comunque infelice e incompleto.
In sostanza l'uomo ha sempre cercato – e cerca - inconsciamente di tornare a Dio.
Il Paganesimo di stampo greco e romano è la religione che, prima della nascita di Gesù, più di ogni altra ha tentato di colmare questo vuoto rimanendo però incapace di concepire la Totalità, forse in un eccessivo omaggio al senso della misura degli antichi, e privilegiando invece un accostamento parziale al Divino.
Per essere più chiari l'uomo potrebbe risvegliare la propria natura con un abbandono allo spirito divino che permea il Creato e ritornare in contatto con il Principio, ritrovando tutte le proprie doti e le proprie qualità originarie. Si tratta ovviamente di un'ascesi più facile a descriversi che a farsi perché punto di arrivo di un difficile percorso iniziatico, oltre che di un costante esercizio di preghiera e meditazione, e che non a caso è sino ad oggi riuscito solo ai pochissimi che non hanno desistito. Questa consapevolezza è andata via via perdendosi nei secoli, nei millenni, e solo pochi retaggi parziali sono stati raccolti ora da questa ora da quella religione e il Paganesimo ne è stato in grado di trattenerne una buona parte perdendo però, probabilmente sempre in un malinteso omaggio al tipico senso della misura greco cui si è già accennato sopra, l'idea della Divinità unica, infinita, totale e sostituendolo con una pluralità di dei.
Questo ha comportato per l'uomo antico la necessità di accostarsi al divino in termini certo anche efficaci ma frammentari. Impossibilitato a tornare alle origini, l'uomo greco e romano ha creato degli dei a propria immagine e somiglianza, richiamandosi poi a loro ogniqualvolta potevano aver bisogno di una dote che trascendesse i limiti altrimenti imposti dalla dimensione umana. Ecco allora le invocazioni ad Ares/Marte per avere la forza di vincere una battaglia, le offerte ad Aphrodite/Venere per avere appagamento in amore, la richiesta di assistenza ad Athena/Minerva per ottenere il necessario intelletto, e così via. E' da questo tipo di approccio che scaturisce tutta quella mitologia antica di uomini, quali Ercole o Odisseo, particolarmente eccezionali pressoché in un'unica caratteristica, l'unica che avessero risvegliata ai massimi livelli grazie all'accostamento parziale al divino, un tipo di accostamento sicuramente più facile da ottenere ma allo stesso tempo limitato nei risultati e, evidentemente, alle necessità contingenti. Ci si rivolgeva agli dei per soddisfare i propri bisogni terreni e per questo non si aveva alcuna difficoltà a far scendere gli dei sulla terra intrecciando le loro vicende con quelle umane.
L'ebraismo ha segnato invece il punto di massimo allontanamento dalla spiritualità originaria in quanto non solo si è persa la possibilità di risveglio totale della scintilla divina, ma anche quella di una sua accensione parziale, alla maniera pagana. L'ebraismo infatti non conosce le singole sfaccettature della divinità tipiche del Paganesimo e ancor meno prevede la possibilità dell'abbandono totale alla sostanza divina che sarà poi ricordato da Gesù, il ritorno integrale al Principio. Il Dio ebraico è un Dio in tutto e per tutto trascendente che si pone come padre-padrone nei confronti dei suoi figli, non esitando a usare verso di loro una severità al limite della crudeltà, proprio perché l'uomo si percepisce ora come un suddito che deve solo obbedienza a questa sorta di monarca assoluto celeste.
Per correggere questa distorsione ecco allora arrivare Gesù di Nazareth, Figlio di Dio in quanto il concepimento nel ventre di Maria - figura che dovrebbe far riflettere sul ruolo che la donna riveste in campo spirituale come portale tra la dimensione celeste e quella terrena – è avvenuto non per mezzo dell'uomo ma dello Spirito Santo, ossia la medesima sostanza divina con la quale è permeato il Creato sin dal primo istante. Compito di Gesù è stato essenzialmente quello di rilanciare il piano della Creazione, ricordando letteralmente all'uomo, dimentico della propria origine divina, quale fosse il proprio vero potenziale attraverso gli insegnamenti e i miracoli.
Ciò che purtroppo è avvenuto già pochi anni dopo la morte del Nazareno è esattamente quello che era successo ai tempi della Creazione originale, ossia i figli hanno cessato di dare ascolto ai padri pensando di poter fare di testa propria. E così gli insegnamenti di Gesù, che pure avevano permesso ai primi cristiani quali gli apostoli Pietro e Paolo di fare esattamente quello che faceva il loro Maestro, sono stati presto dimenticati e il valore del ritorno a Dio per mezzo dello Spirito è stato completamente svuotato del suo significato e ridotto dalla dimensione spi-rituale a quella rituale, a puro cedere e ricevere la particola consacrata quale atto di rispetto verso il Figlio di Dio, quasi a voler rinnovare formalmente la fede, ma senza che da questa comunione rituale derivi necessariamente (ne è anzi verosimilmente inibita) la comunione spirituale, raggiungibile solo in preghiera, meditazione e ascesi mistica.
Rivisitando i livelli di possibile accostamento e ritorno alla natura divina dell'uomo - parziale nei pagani, totale nei cristiani, o meglio in quei cristiani che veramente hanno seguito le orme del maestro – l'insegnamento di Gesù appare quindi non un elemento di rottura tra il Paganesimo e il successivo Cristianesimo, quanto una cerniera, un momento di continuità, in cui rilancia un'antica sapienza andata parzialmente perduta. Ovviamente i panni nei quali Gesù si trova inizialmente a operare sono quelli apparentemente di un ebreo, per i motivi già detti. L'ebraismo, a dispetto della condivisione col Cristianesimo di una buona parte di scritture, incarnava in sostanza la confessione più distante dalla spiritualità autentica e in questa sede il messaggio di un Cristo, nel pieno rispetto della sua sfaccettatura umana, poteva essere ancor più radicale e rivoluzionario.


1Questo momento permette di problematizzare diversamente la comparsa del Male nell'esistenza umana. Perché, ci si può chiedere, se il Creatore è perfetto e la Creazione è a Sua immagine e somiglianza, l'uomo ha deciso di allontanarsi dalla Legge divina lasciandosi sedurre dalla tentazione di Lucifero? Come accennato, i figli tendono sempre, a un dato momento della propria maturità, ad allontanarsi dagli insegnamenti dei genitori, eppure madre e padre non insegnano loro il male. Si tratta di un normalissimo percorso iniziatico che vede sempre il ritorno dei figli ai padri dopo aver esperito la fallacia delle altre vie, e permette di apprezzare una volta di più la bontà degli insegnamenti ricevuti, perfezionando così la propria ascesi. La storia dell'uomo, allontanatosi da Dio e in eterna ricerca di un ritorno alle origini, altro non è che la millenaria storia di un figlio che si è allontanato dal padre.

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