La parabola discendente
della capacità di analisi e discernimento della sinistra radicale o
addirittura extraparlamentare ha ormai subito una tale pendenza che
presto non potrà che schiantarsi al suolo. Questo determinerà se
non la scomparsa della sua forma politica originale – comunista,
socialista, etc. - la sua formale sopravvivenza in forme
filo-capitaliste la cui preoccupazione non sarà più l'azione
politico-economica ma solo la volontà di fornire un pilastro
“culturale” alla necessità del sistema stesso sia di espandersi
all'esterno verso quei paesi che ancora non l'avessero accettato sia
di rafforzarsi ulteriormente all'interno eliminando quelle nicchie di
resistenza al pensiero unico che ancora permangono.
E' difficile spiegare il
“perché” questa parabola si stia verificando, mentre è evidente
il “come”. La sinistra radicale, quella che si percepisce contro
il sistema finendo per puntellarlo, ha sostanzialmente rinunciato
alla lotta per una utopia coerente da essa concepita (come poteva
esserlo la dittatura del proletariato, non condivisibile quanto si
vuole, ma organica nella sua concezione) a favore di una utopia
suggerita dal sistema capitalista e costituita dalla somma incoerente
di una serie di “battaglie” monotematiche intorno a ingiustizie
sociali non reali ma adeguatamente suggerite dal sistema capitalista
stesso, lesto a creare gli “oppressi” di turno la cui
emancipazione viene culturalmente affidata proprio alla sinistra
radicale. Si tratta ovviamente di oppressi “mediatici” e la loro
emancipazione non è motivo di disturbo alcuno per il sistema ma ne
rappresenta semmai un ulteriore rafforzamento.
Il risultato è che la
sinistra radicale finisce sempre più, da decenni a questa parte, per
sovrapporre le proprie battaglie a quelle delle forze politiche
dichiaratamente intrasistema tanto che, per citare il filosofo Diego
Fusaro, con una sinistra così non c'è più bisogno della destra.
In concreto, se pensiamo
a come la sinistra radicale sia di supporto al sistema capitalista,
il pensiero corre alla politica internazionale e alla geopolitica in
particolar modo.
Pur accettando la
contraddizione ideologica, la sinistra radicale degli scorsi decenni
non avrebbe avuto dubbi su quale schieramento sostenere nell'attuale
scontro tra l'imperialismo unipolare a guida euro-americana da un
lato (latore del capitalismo unico mondiale) e l'arcipelago di stati
sovrani non allineati a questo imperialismo. Tra Putin e Obama i
vecchi comunisti sarebbero stati in blocco dalla parte del primo, non
in quanto comunista lui stesso (poiché evidentemente non lo è) ma
in quanto, per quanto capitalista e autocratico, ostacolo alla
diffusione di quel capitalismo globale che del comunismo è ed era il
vero e principale nemico e rispetto al quale il comunismo ha
configurato il proprio programma e la propria ragione di esistenza in
antagonismo. Stesso discorso per l'Iran, poiché i vecchi compagni
avrebbero parteggiato per le medesime ragioni per una repubblica sì
teocratica ma antimperialista e quindi importante nell'ostacolare il
vero nemico.
Oggi invece la sinistra
radicale si integra perfettamente nel sistema condividendone gli
obiettivi sul terreno della cultura ed ecco che Russia e Iran non
sono più vissuti come come alleati quantomeno tattici e momentanei,
ma come nemici dell'utopia continuamente rinviata in quanto paesi in
cui sono violati i diritti umani, o meglio quei diritti che
l'occidente definisce tali quando ne può ricavare un ritorno
economico. Ecco quindi che Russia e Iran diventano nemici peggiori
del capitalismo stesso in quanto paesi persecutori di omosessuali
(quando in realtà si limitano ad arginare le pressioni dei potentati
stranieri sull'ideologia di genere) o repressori della libertà di
espressione (laddove la “libertà di espressione” sarebbe quella
delle agenzie straniere quali US Aid o la Open Society Institute le
quali mirano storicamente ad architettare golpi a danno dei paesi in
cui operano).
Deprecabile è il
graduale mutamento di fronte della sinistra nella questione
palestinese. Storicamente infatti la sinistra ha sempre appoggiato la
causa indipendentista della Palestina arrivando quasi a un lodevole e
organico antisionismo. Oggi invece nel nome dell'ideologia
omosessualista (che, tra l'altro, nulla ha a che vedere con
l'emancipazione dell'omosessualità), l'apartheid israeliano contro i
palestinesi passa in secondo piano e gli è quasi condonato, mentre
la non accettazione dell'omosessualità nella religione islamica dei
palestinesi è vista con disprezzo tanto da farne passare in secondo
piano la causa di libertà agli occhi di molti compagni.
Sul piano della politica
interna la sinistra radicale non è meno dannosa e autolesionista. A
fronte di un unico blocco dominante ormai costituito dai potentati
bancari che gestiscono lontano dalle urne una politica da operetta, i
compagni non si preoccupano di contrastare i dominanti stessi ma
quegli antagonisti veri o presunti che, pur da posizioni non di
sinistra, vi si oppongono. Emblematiche sono le contestazioni dei
centri sociali al leghista Matteo Salvini al quale può essere
addebitato ogni giudizio negativo possibile tranne quello di essere
responsabile dei problemi strutturali del paese. Questi sono infatti
stati prodotti da una classe politica liberale e liberista che si è
presentata ora nelle vesti di protettorato straniero (altrimenti
detto “governo tecnico”) con il Bilderberg-Trilaterale Mario
Monti, ora mascherata da governo democraticamente eletto con i
Goldman-boys Carlo Azeglio Ciampi e Romano Prodi. Viene da chiedersi,
perché gli “antisistema” della sinistra radicale non hanno mai
dedicato ai veri responsabili del dissesto economico e sociale
italiano la stessa accanita persecuzione contestatrice, preferendo
prendersela con chi sta in un'impotente opposizione? Perché questi
compagni che sbagliano (stavolta è proprio vero) ritengono
prioritario contestare e attaccare gruppi di estrema destra con
percentuali da prefisso telefonico anziché pianificare un'azione
politica intelligente di contrapposizione al vero potere capitalista?
In uno slancio
autolesionista la sinistra radicale attuale è inoltra ansiosa di
censurare quelle che sarebbero state le battaglie dei propri nonni a
favore di oppressioni, come già detto, mediatiche e olografiche.
Ecco quindi che le posizioni marxiane di un Diego Fusaro o quelle
dello scomparso Costanza Preve a favore della classe lavoratrice e
dei ceti bassi in generale, sempre a favore delle sovranità
nazionali come insegnato dal primo comunismo rivoluzionario di Lenin
e dalle esperienze latino-americane, sono derubricate a fascismo o,
in modo decisamente più complottista, a “rossobrunismo”,
introducendo in questo caso una categoria che designa un fenomeno
inesistente nella realtà. La difesa di quelli che dovrebbero essere
i propri protetti naturali è abbandonata a favore delle lotte per
non meglio definiti “diritti umani”, ossia di quei diritti cari
solo alle classi medio-alte dei paesi ricchi e definite dalle stesse
nel proprio contesto del capitalismo globale. Antispecismo,
eutanasia, rimozione del Crocifisso, diritti di coppia, tutte cose
sulle quali per carità si può discutere, prendono però un indegno
sopravvento sulla macelleria sociale e sull'indebolimento delle
istituzioni statali sovrane (ormai ridotte al lumicino) che
dovrebbero essere il cardine su cui fondare un'azione di sinistra.
Tutte distorsioni e falle
d'analisi e risposta che, un tempo, la sinistra non avrebbe commesso
e che anzi avrebbe condannato.
Davvero, ridateci degli
interlocutori con cui parlare ragionevolmente.
Ridateci i compagni di
una volta.
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