Erano passati molti
secoli dalla scomparsa degli antichi Cavalieri del Santo Graal.
Da allora sull'umanità
si era allungata un'ombra di tristezza e di oppressione. La gente
viveva con fatica e aveva perso la felicità.
Ovunque i Neri Esecutori,
i sacerdoti malvagi che avevano usato i cavalieri per dare la caccia
alle Creature di Luce, erano i veri padroni e controllavano tutto,
anche i re e i principi, attraverso il loro culto che tutti
chiamavano il "Tempio Nero", e i loro soldati conosciuti
come "Gendarmi".
In quel tempo nel cuore
dell'Europa, in un villaggio di contadini ed artigiani al margine di
una grande foresta, viveva un ragazzino di nome Artù. Abitava
insieme agli zii perché i suoi genitori erano stati uccisi dai
gendarmi quando lui era molto piccolo. Suo padre infatti, anche se
era un povero fabbro, aveva un carattere fiero e non accettava le
ingiustizie e così un giorno si era ribellato ai gendarmi che
volevano prendere al mercato del villaggio tutto il denaro che quel
giorno i paesani avevano incassato per darlo al Tempio Nero. I
gendarmi avevano così ucciso sia lui che la moglie senza pietà.
Artù era scampato solo perché era piccolissimo e i suoi genitori lo
avevano lasciato a casa con gli zii.
Man mano che cresceva
però diventava sempre più chiaro che aveva lo stesso carattere del
padre, non sopportava il male e prendeva sempre la parte dei deboli
senza pensare ai rischi.
Presto aveva anche preso
l'abitudine di vagare da solo per la foresta spingendosi sempre più
in profondità e lontano dal villaggio.
In una di queste sue esplorazioni Artù conobbe un uomo che
viveva proprio nel cuore della foresta, lontanissimo da ogni
abitazione. Il suo nome era Merlino e Artù lo trovava molto
misterioso. Nonostante il viso anziano, il suo corpo, la sua mente e
il suo sguardo sembravano nel pieno della forza e della lucidità e
lui non diceva mai quanti anni avesse. Ad Artù non era chiaro come
vivesse dato che sembrava non abbandonare mai la foresta per comprare
ciò che poteva servirgli e nemmeno per vendere la grande varietà di
erbe e bacche con cui preparava strane bevande o le pietre rarissime
che incastonava su anelli, amuleti o bastoni, eppure nulla di
essenziale mancava mai nella sua capanna.
Ma Merlino era sopra ogni
altra cosa un sapiente. Conosceva tantissime cose in ogni campo e
presto divenne un maestro per Artù. In pochi mesi gli insegnò a
leggere e scrivere nella lingua corrente, in quella degli antichi e
nel misterioso linguaggio delle rune.
Gli insegnò anche la
storia del nostro mondo, di come i Cavalieri del Graal avevano a
lungo guidato l'umanità e di come questa fosse poi caduta nel buio
con la comparsa dei Neri Esecutori e del Tempio Nero e la fine delle
Creature di Luce: streghe e stregoni, elfi, gnomi, fauni, satiri,
ninfe e fate.
Ma erano tutti
insegnamenti proibiti nei villagi e nelle città così come era
proibito possedere quella collezione fantastica di libri antichi che
Merlino teneva ben protetta in un sotterraneo segreto. L'anziano
signore fece giurare ad Artù che non avrebbe mai rivelato a nessuno
la loro amicizia e gli insegnamenti che stava ricevendo. Un giorno
sarebbe arivato il momento in cui li avrebbe usati nel modo giusto.
Spesso, per non
insospettire lo zio, Artù fingeva di non mostrarsi troppo curioso
verso la foresta e non vi andava per alcuni giorni. Ma in tutto quel
periodo non faceva altro che pensare al momento in cui sarebbe
tornato nella capanna di Merlino ad apprendere altre cose.
Quando Artù compì i
suoi sedici anni, ed era ormai un ragazzo forte e quasi adulto, anche
la sua mente e la sua saggezza erano pronte grazie agli insegnamenti
di Merlino.
Proprio in quei giorni
Artù aveva accompagnato lo zio al mercato del villaggio per aiutarlo
a comprare il metallo dalla carovana dei minatori e vendere alla sua
baracca gli oggetti che produceva col suo lavoro di fabbro e dopo
averlo aiutato un po' iniziò a passeggiare tra i venditori con un
gruppo di cari amici della sua età.
Ma durante quela giornata
un gruppo di gendarmi a cavallo era arrivato al villaggio proprio
quando la piazza del mercato era più affollata. I soldati del Tempio
avevano bloccato le vie di accesso alla piazza e altri avevano
iniziato a perquisire con violenza le persone per togliere loro ogni
denaro. Sarebbe servito al Tempio Nero, dicevano, per una "guerra
santa" nelle lontane e selvagge pianure dell'Europa orientale e
portare anche laggiù il loro culto. Artù assisteva con rabbia a
quella scena. E quando i gendarmi arrivarono dallo zio, prendendolo
con forza per le braccia e buttandolo a terra senza che lui avesse
fatto niente di male, la sua collera esplose. Prese un pesante
martello esposto sulla loro baracca degli oggetti in vendita e lo
scagliò con forza verso un gendarme colpendolo alla spalla.
"No Artù, fermo!"
gridò lo zio, ricordandosi bene cosa era successo al padre del
ragazzo quando molti anni prima si era ribellato ai gendarmi. Ma era
troppo tardi. Di fronte ai soldati che stavano circondando Artù per
arrestarlo, i suoi amici avevano afferrato dalle bancarelle intorno
tutto quello che poteva servire per difendere l'amico e si erano
stretti intorno a lui.
Il capitano dei gendarmi,
non volendo mostrarsi a far violenza contro dei ragazzi così
giovani, ebbe un'idea crudele e peggiore. Fece arrestare e
inginocchiare velocemente lo zio di Artù mentre i suoi soldati
tenevano la folla di persone e i ragazzi a distanza.
Artù urlava, spingeva,
strattonava con tutta la sua forza per cercare di raggiungere lo zio
avendo capito cosa stava per accadere, ma fu tutto inutile. Il
capitano, alzata la spada in altò, colpì lo zio uccidendolo proprio
come molti anni prima era stato ucciso il padre del ragazzo.
Artù crollò a terra
disperato e piangendo mentre i gendarmi del Tempio lasciavano pian
piano la piazza e il villaggio col loro bottino.
I suoi amici lo
sollevarono da terra e lo aiutarono a tornare a casa dove la zia, in
lacrime, aveva già saputo dai paesani quello che era accaduto. Fu
allora che Artù, vedendo la sua casa e quel che rimaneva della sua
famiglia, non resse più alla rabbia e iniziò a correre verso la
foresta di Merlino.
Corse senza guardare dove
metteva i piedi, guidato solo dall'istinto perché i suoi occhi erano
così pieni di lacrime da non riuscire quasi a vedere.
Aveva corso moltissimo,
non sapeva quanto, quando arrivò in una radura che non aveva mai
visto prima. Non sapeva quanto avesse corso ma a quel punto avrebbe
già dovuto essere arrivato a casa del suo maestro. E invece in quel
tratto di foresta non c'era nulla di familiare e la capanna di
Merlino chissà dov'era.
Si era perso.
Artù si asciugò gli
occhi e si guardò intorno cercando di capire in che punto della
foresta fosse finito e come tornare indietro. Allora vide al margine
della radura una grossa pietra avvolta da molte piante rampicanti e
cespugli. Si avvicinò a quella pietra che pareva curiosa e la
osservò meglio... e da vicino si accorse che tra le erbacce si
intravvedeva l'impugnatura di una spada...
Artù si dimenticò di
tutto e iniziò a strappare la vegetazione che avvolgeva quella
pietra. Continuò per alcuni minuti graffiandosi e tagliandosi le
mani e nel frattempo il cielo si era fatto scuro e si sentivano i
tuoni di un temporale che si stava avvicinando.
Infine, quando le prime
gocce di pioggia iniziarono a cadere, Artù aveva completato la sua
incredibile scoperta. Al centro della grande roccia era incastonata
come un gioiello una spada di cui si vedevano solo l'impugnatura e
pochi centimetri di lama. Ma quello che sorprendeva era che la spada
sembrava ancora nuova e lucente nonostante dovesse essere lì da
molto tempo, viste le erbacce e le piante che le erano cresciute
intorno.
Il rombo di un tuono
esplose ora fortissimo proprio sopra la radura e Artù alzò lo
sguardo al cielo con la pioggia che ormai cadeva molto forte.
Quando tornò a guardare
la spada si accorse che sulla superficie della pietra erano apparsi
dei segni. Era sicuro che prima non ci fosserò e guardò più da
vicino perché in fondo avevano qualcosa di familiare... erano rune,
simboli del misterioso alfabeto che Merlino gli aveva insegnato. Artù
si concentrò un poco cercando di ricordare le sue lezioni e capire
il significato di quei caratteri e ora era sicuro di quanto fosse
scritto. In piedi davanti alla spada, ormai inzuppato d'acqua e tra i
rombi dei tuoni che esplodevano sempre più violenti in un cielo nero
come se fosse notte, Artù lesse solennemente:
Qui ha posto la sua spada
l'ultimo cavaliere di questa era perché nessuno possa usarla per
fare del male
Qui potrà estrarre questa
spada il primo cavaliere
di un'era che verrà per
tornare a fare del bene
E a quel punto Artù sentì
scoppiare il tuono più forte che avesse mai sentito, così forte che
sembrava venire da sotto terra facendo tremare tutta la foresta e un
fulmine cadde dal cielo sino a colpire la spada e accenderla di un
blu elettrico, come se fosse piena di energia.
Fece ancora un passo poiché non
poteva resistere e allungò la mano sull'impugnatura. Una sensazione
di forza e di calore risalì lungo il suo braccio sino al cuore e da
lì si espanse giù per la schiena e in su fino alla testa
illuminandogli gli occhi.
E fu allora che senza nemmeno
pensarci, istintivamente e senza alcuno sforzo, Artù estrasse la
spada da quella roccia e la puntò verso il cielo.
I tuoni continuarono ad
esplodere e i lampi a squarciare il cielo, ma sempre più deboli e
lontani. Dopo un minuto il temporale era passato e i raggi del sole
del pomeriggio tornarono a illuminare la foresta.
"E' arrivato il giorno che
aspettavi" disse una voce potente alle spalle di Artù. Il
ragazzo si girò e vide dall'altra parte della radura il suo maestro,
Merlino, che si avvicinava.
Aveva un'espressione fiera, come
quella di un insegnante orgoglioso del traguardo raggiunto
dall'allievo.
"Ora potrai finalmente
rivelare quanto hai appreso da me e usarlo, ragazzo mio. Da tempo il
mondo attendeva il tuo arrivo. Poiché io ero presente nell'era in
cui la Spada nella Roccia è stata posta qui e il Signore mi ha
concesso il privilegio di esserci ora che è stata estratta. Entrambe
le cose sono avvenute per un motivo e tu ne sei l'incarnazione, Artù.
Ora andiamo..."
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