Visitare un centro
commerciale è un'esperienza che permette di prendere atto di molte
delle decadenze e delle contraddizioni della società occidentale.
E' infatti sin troppo
evidente come, soprattutto nei giorni festivi, questi veri e propri
villaggi della spesa siano diventati luoghi (campi?...) di concentramento
di una massa di persone del tutto sconnesse tra loro, incapaci di
socializzare, e per le quali lo spendere del denaro non costituisce
più un mezzo per ottenere un'esistenza decorosa, ma il fine stesso
dell'esistenza.
L'impatto visivo propone
già qualcosa di inaspettato e di incomprensibile per chi non è
abituato a frequentare questi gulag dello spirito in cui gli utenti
si autodeportano per andare incontro al proprio, graduale sterminio
interiore.
L'abbigliamento dei
frequentatori non è simile a quello di coloro che passeggiano
all'aperto per strada o per i negozi del centro cittadino. Indipendentemente
dalla moda di riferimento (vi si incontra di tutto, dal dandy
al punk, dallo sfattone alla femme fatale) i dettagli sono
sempre grotteschi, esagerati, sproporzionati rispetto al tutto e
privi di qualsiasi armonia e ricerca del bello.
Si passa quindi dai pantaloni troppo calati a quelli troppo corti,
dalle giacche letteralmente strizzate e poi usate a mo' di sciarpa,
ai cappelloni sia per uomini che per donne, le ragazze vestite non
tanto come se dovessero comprare ma come se volessero vendersi, modi
di abbigliarsi e conciarsi di un sesso usati indifferentemente
dall'altro, famiglie vestite meglio del sottoscritto il giorno del
proprio matrimonio solo per fare la scorta di alimentari, immigrati
nordafricani griffati più degli autoctoni e le rispettive mogli che
sfoggiano un velo all'ultima moda dalla chiara contaminazione
occidentale negli stili e nei tessuti, italiani che al contrario
fanno propri in modo grottesco e folkloristico i modi di abbigliarsi
stranieri, e via dicendo.
Accanto
a queste storture sorprende l'elevatissimo numero di cani, talvolta
più di uno per ogni padrone e portati a spasso in un carrello della
spesa appositamente preso, tutti pulitissimi, col pelo pettinato e
lucido, con collari e pettorine in bella mostra come abiti firmati.
Viene naturalmente da chiedersi se un proprietario di cani che si
sente in obbligo di portare la propria creatura in giro il sabato o
la domenica in un centro commerciale sia davvero il “padrone” o
se, alla luce della mancanza di libertà di movimento mostrata, non
sia piuttosto sottomesso all'animale.
Queste
assurdità, questi ribaltamenti della logica e della Natura, sono
però legati da un inquietante filo conduttore che le indirizza tutte
verso un'unica direzione: la funzionalità al consumo senza confini.
L'antico
uomo comunitario vedeva soddisfatti i propri bisogni interiori
nell'interazione coi membri delle varie comunità di appartenenza -
famiglia, località, nazione, religione, etc – e poteva limitare i
consumi materiali ai soli bisogni oggettivi relegandoli quindi a una
dimensione di finitezza.
Le tensioni verso l'infinito
erano invece soddisfatte non solo coi legami comunitari di cui si è
già detto ma anche con il proprio, personale cammino spirituale.
Oggi
invece la spiritualità e le dimensioni comunitarie sono state
distrutte, per cui l'uomo, confinato in un campo di concentramento
materialistico, è condannato a cercare in questi angusti limiti la
soddisfazione impossibile a bisogni che ormai sconfinano
nell'illimitato. In buona sostanza si cerca nel consumo materiale la
soddisfazione alla propria tensione all'infinito ed è ovvio che
questa non potrà mai essere soddisfatta dal mero consumo.
Per
mantenere l'illusione diventa quindi necessario per il sistema che
ognuno esca da posizioni ancestralmente riconosciute per continuare a
consumare sempre di più, nella vana speranza che il “prossimo
acquisto” possa essere quello definitivo, quello che una volta e
per sempre porterà pace al consumatore liberandolo da ogni ulteriore
volontà di spesa.
Ed
ecco quindi che, quando si è finito di consumare ciò che inerisce
il proprio sesso, si inizia col consumare quanto inerisce il sesso
opposto (maschi e femmine sempre più sovrapponibili nelle mode e nei
caratteri)
Quando
si è terminato di consumare ciò che è tipico della propria
nazionalità, si comincia con quello delle nazionalità altrui
(occidentali e immigrati).
E,
all'estremo, quando non c'è più nulla da consumare nel campo della
stessa specie vivente cui si appartiene, quella umana, si consuma ciò
che riguarda un altra specie (la sovrabbondanza di cani con padroni
totalmente sottomessi ai loro “bisogni”).
L'inversione
di ruolo definitiva comprende tutte le precedenti e ne costituisce
l'inevitabile epilogo. Non è più l'essere umano che consuma merci,
ma ne è consumato. Non usa ciò che compra, ne è usato come
semplice strumento che permette alla merce di esistere per un breve
ciclo vitale funzionale al sistema capitalista e il denaro, sterco
del demonio, diventa il nuovo dio.
I
centri commerciali sono, nella funzione loro assegnata, i nuovi
templi per l'inconsapevole adorazione del denaro e della nuova
religione ufficiale dell'umanità: il culto del Nulla.
2 commenti:
Bello. Bello.
Aggiungerei una cosa a mio parere nodale.
Affinché si alzi il rischio di modificare la rotta dell'attuale cultura, è opportuno ritenere noi stessi responsabili di dove stiamo andando, più che - come per la stessa cultura siamo indotti a fare - considerarsi fuori e colpevolizzare altri.
L'assunzione di responsabilità di Tutto, non solo di quanto riteniamo sia di nostra competenza, è quindi il punto.
Senza quell'assunzione alimenteremmo la logica dello scontro, della separazione, dell'analisi, della convinzione che la dialettica razionalistica sia cruciale.
Perderemmo lo spirito che ci unisce, la possibilità di evolvere attraverso la comunicazione profonda, empatica e così la sua implicita potenza di realizzare un paradigma alternativo all'attuale.
http://www.victoryproject.net/articolo.php?id=542
grazie per l'ascolto
lorenzo merlo
Grazie a te Lorenzo. In effetti hai detto una cosa saggia che non solo condivido ma che in realtà vale per tutto. A dire il vero quotidianamente mi ritrovo io stesso a discutere anche animatamente con altre persone sull'assunzione di responsaiblità. Ho personalmente imparato a non dare mai ad altri/altro la colpa di quello che non va. La colpa è sempre MIA, magari in misura percentuale, ma comunque mia, o meglio, ciò che accade è sempre dovuto alla somma delle responsabilità delle singole persone tra cui io, te e il nostro dirimpettaio.
Se nei centri commerciali vi sono quei morti in piedi pertanto non ha senso accusarli di nulla. Sono io, magari con altri, che non faccio abbastanza per convincerli a cambiare e aprire gli occhi.
Il motivo per cui non ho aggiunto questo argomento all'articolo è che esso merita decisamente una trattazione a parte. In proposito ho realizzato uno scritto "Libertà delegata", capitolo di un libro che sto scrivendo.
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