A
conferma del fatto che Matteo Renzi altro non è che un manovrato, il
vecchio che avanza con la sola intenzione di attuare l'agenda dei
poteri forti, l'esecutivo ha deciso di rilanciare il piano di
privatizzazioni già disposto dal governo Letta1.
L'obiettivo
di questa vendita dell'argenteria è ufficialmente quello di
raggranellare sino a 10 miliardi di €, ma qualcosa non quadra. La
vendita di patrimoni pubblici genera infatti allo Stato un'entrata
una tantum. Un sostanzioso attivo che sembrerebbe tanto
necessario alle casse del nostro Paese ma che manca totalmente
l'obiettivo strategico di risanare i conti senza inquinare il tessuto
produttivo.
Infatti,
vendere aziende pubbliche produttive, che generano profitti,
significa rinunciare a introiti sul lungo periodo e risulta in
clamorosa contraddizione con la volontà di disfarsi di carrozzoni
costosi e inefficienti.
Diversamente,
vendere aziende improduttive, i cui bilanci andavano costantemente
“dopati” coi denari pubblici per sanare le perdite, genera
sospetti ancora più inquietanti. Perché se un privato dovesse
acquistare quote di questi presunti baracconi lo farebbe comunque per
avere un guadgano. Questo potrebbe significare che la gestione
privata sarebbe in grado di riassestare l'impresa pubblica (di questi
tempi meglio non chiedersi come...) tanto da renderla produttiva e
allora ci si chiede perché non potevano farlo gli azionsti statali.
Oppure, idea ancora peggiore, i nuovi investitori privati non
contribuirebbero affatto a rimettere in sesto l'azienda pubblica.
Semplicemente, a fronte del massiccio investimento iniziale per
ripianare il deficit dello Stato, gli “amici degli amici” si
vedrebbero sovvenzionati con contributi pubblici negli anni
successivi per ripianare quei passivi che continueranno ad
accumularsi. E di nuovo, altra emorragia di denaro che creerà
deficit strutturale e quindi debito pubblico.
1http://www.lastampa.it/2014/03/23/economia/poste-ferrovie-e-fincantieri-lobiettivo-incassare-miliardi-2MiuYbpX1ZVr1y62qaQr3O/pagina.html
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