Passarono
gli anni. Passarono come se fossero pochi giorni o molti secoli al
tempo stesso. Artù, sempre sotto la guida severa ma amorevole di
Merlino, non era più un ragazzino. Dopo la morte dello zio, aveva
preso congedo dalla zia rimasta sola e aveva raccolto intorno a sé
un gruppo di giovani che come lui volevano lottare per riportare la
Luce in Europa secondo gli antichi principi che erano appartenuti ai
Cavalieri del Graal. A volte da solo, a volte con Merlino, parlava di
questi valori e si allenava a lottare e combattere, iniziando col
tempo ad attaccare i gendarmi e i Neri Esecutori, le loro carovane,
le loro abitazioni più isolate, strappando loro via via il controllo
di piccoli castelli o villaggi, ma iniziando col tempo a lanciare
attacchi sempre più pericolosi e importanti.
Prima
erano alcune decine di ragazzi e ragazze, poi col tempo erano
diventati diverse centinaia, armati prima di tutto di coraggio e
determinazione. Ma tra loro Artù, col consiglio di Merlino, aveva
scelto i compagni più saggi, più equilibrati, i più
compassionevoli, amorevoli e coraggiosi al tempo stesso.
Ne
aveva scelti dodici e con essi, quando si ritrovavano,
sedevano a una Tavola Rotonda allestita in qualche antico luogo sacro
per discutere la conduzione della ribellione.
La
loro lotta si era ingrandita sempre più, prima dalle foreste, le
paludi e le montagne, fino a dentro le città ed era sempre più
impegnativo organizzare tutti i combattenti che si univano ad Artù.
Ma i suoi dodici cavalieri avevano anche un'altra missione molto
importante che era stata affidata loro da Merlino: ritrovare gli
ultimi superstiti tra le antiche Creature di Luce, streghe e
stregoni, elfi, fauni, ninfe, fate e tutti quegli esseri che un tempo
i Neri Esecutori avevano perseguitato spazzandoli via dall'Europa e
che tutti credevano estinti.
"Non
sono scomparsi, in realtà – spiegò una volta Merlino ad Artù e
agli altri cavalieri – E il Tempio Nero lo sa. Certo, tutti coloro
fra quelle creature che erano dotati di una forma visibile sono stati
uccisi. Ma altri, anche se pochissimi, sono sopravvissuti perdendo la
loro forma esteriore o i loro poteri... per ora. Questo è accaduto
perché, senza l'energia che arrivava loro dall'amore degli esseri
umani e dal rapporto con loro, non hanno più potuto mantenere la
propria forma soprannaturale. Allo stesso modo streghe e stregoni
hanno perso il proprio potere perché più nessuno lo ha alimentato
con la propria fiducia, ma la loro conoscenza magica non è venuta a
mancare. Bisogna solo ricostruire questo legame".
Ci
vollero anni per completare questa missione. Istruiti da Merlino,
Artù e i suoi cavalieri avevano con fatica cercato i discendenti di
quelle fantastiche Creature sotto le loro prudenti sembianze umane e
si erano a fatica guadagnati la loro fiducia superandone i timori e i
sospetti.
E poi
li avevano convinti a radunarsi vicino a una nuova comunità umana
che andava nascendo e che avrebbe fermamente creduto in loro. Una
comunità formata da Artù, da Merlino, da tutti i combattenti che si
radunavano e dai loro amici e le loro famiglie.
Una
comunità che risiedeva in una fantastica città fortificata
circondata da campagne fertili a loro volta protette all'esterno da
difese naturali come fiumi, paludi e montagne che i poteri di Merlino
e dei suoi nuovi alleati fatati avevano realizzato in poche settimane
nel cuore dell'Europa senza che nessuno del Tempio Nero o dei regni
allora in piedi se ne accorgesse.
Questa
nuova comunità umana aveva un nome: Camelot.
Camelot
era la speranza che sorgeva quando la disperazione accompagnava ogni
uomo sin dalla nascita.
Camelot
era la Luce che si accendeva e brillava ancora più forte
nell'oscurità.
Raccoglieva
tra le sue mura tutto il Bene che ancora era presente nel mondo e
lanciava senza timore, quasi con irriverenza, la sua sfida mortale al
male che pervadeva ogni cosa.
Lì,
tra quelle mura e quella Natura invincibile, Artù, ormai uomo,
divenne re e costruì un nuovo regno, una nuova nazione. Poteva
sembrare poca cosa di fronte a tutti i potenti regni che sorgevano da
secoli in tutto il continente, ma era solo un'apparenza perché Artù
e i suoi fedeli compagni padroneggiavano ormai l'antico segreto che
tanto il Tempio Nero temeva, l'arma che poteva rendere ogni uomo o
donna più potente di ogni nemico o avversità e che nessuno aveva
mai potuto cancellare se non nei ricordi perché risiedeva nel
profondo dell'anima umana: il Santo Graal.
Intorno
a questa conoscenza Artù aveva ricostituito gli antichi Cavalieri
del Graal che ora, sedendo intorno alla grande tavola, si chiamavano
Cavalieri della Tavola Rotonda.
Guardando
a Camelot e ai Cavalieri come a una nuova speranza, assetati e
ansiosi di bere al Graal della libertà e dell'illuminazione, sempre
più persone si ribellavano contro i Neri Esecutori e i sovrani che
controllavano.
Fino
a quando tutta l'Europa ancora sottomessa fu chiamata dal Tempio Nero
a una crociata contro Camelot per spazzarla via.
Sotto
la guida e la predicazione feroce dei Neri Esecutori e dei gendarmi,
decine di migliaia di soldati si radunarono e marciarono contro
Camelot, Vennero dalle sponde del grande oceano, dal Mediterraneo,
dalle steppe dell'est e dal gelido nord. Portavano con sé armi,
cavalli, rifornimenti infiniti e un odio immenso verso tutto ciò che
era buono, convinti dalla superstizione che solo con questa violenza
avrebbero salvato il mondo.
Erano
centinaia di volte più numerosi di tutti i combattenti di Artù e
non potevano essere sconfitti in battaglia... non in una battaglia
normale almeno. Merlino parlò dunque ad Artù: " Il tempo è
contro di noi. Presto gli eserciti nemici supereranno le montagne e
le paludi che circondano la nostra fortezza e ci circonderanno.
Dobbiamo prepararci a resistere ma dobbiamo anche recuperare un
oggetto che ci aiuterà nella lotta. Una spada".
"Ne
ho già una" rispose Artù toccando con la mano l'impugnatura
della Spada nella Roccia che portava al fianco.
"Te
ne serve un'altra. La Spada nella Roccia ha custodito la saggezza e
la testimonianza della cavalleria. Una nuova arma ti darà la forza
di proteggere Camelot da ogni avversario. Ora i tempi sono pronti
affinché tu te ne impossessi. Essa non giace lontano da dove hai
trovato la tua prima spada, nella foresta in cui hai iniziato la tua
istruzione. Là dovrai recarti in fretta e trovare il laghetto
incantato nelle vicinanze. La tua nuova spada è stata forgiata sotto
la superficie di quelle acque da una ninfa che per secoli ha vegliato
sul corso degli eventi"
Senza
fare troppe domande, come era sua solito dopo anni di approfondita
conoscenza con il suo maestro, Artù si mise in cammino. La guerra
incombeva e lui doveva affrontare diversi giorni di viaggio a cavallo
in un territorio pericoloso.
Per
un'intera settimana Artù cavalcò, tenendosi lontano dalle città e
dai villaggi, accompagnato solo dai suoi sogni e dai suoi pensieri,
fino a che non riconobbe la foresta in cui da ragazzo aveva
incontrato Merlino, i resti ormai abbandonati della sua capanna e la
grande roccia in cui aveva trovato conficcata la spada che ancora
portava con sé.
Poche
decine di metri più in là, proprio dove lo ricordava, al centro di
una radura e coperto quasi magicamente da un tetto naturale di
vegetazione, stava il laghetto con le acque brillanti color di
smeraldo.
Artù
si inginocchiò sul bordo osservando quell'acqua soprannaturale e
toccandola leggermente con la mano, cercando di intuire cosa avrebbe
dovuto fare. D'un tratto l'acqua davanti ad Artù iniziò a ribollire
e mescolarsi assumendo magicamente i contorni di una frase scritta
sulla superficie: "A nessuno servono due spade", diceva il
laghetto.
Artù
capì. Estrasse dal fodero la Spada nella Roccia e la appoggiò sulla
superficie. Senza che il re si sorprendesse, la spada galleggiò e fu
portata dal moto delle acque al centro dove pian piano iniziò a
scendere fino a scomparire alla vista.
Poco
dopo le acque iniziarono di nuovo ad agitarsi, questa volta con un
movimento che dal centro del lago si avvicinava alla riva verso Artù.
Pian piano, dalle acque emerse qualcosa di lucente... emerse sempre
di più e sempre più luminosa sino a rivelarsi per ciò che Merlino
aveva previsto. Una magnifica spada che brillava con tutta la Luce
del Creato, sorretta da una misteriosa mano che emergeva di poco
dalla superficie.
Artù
allungò le braccia e afferrò con attenzione la bellissima spada. In
quel momento iniziò ad emergere dall'acqua una bellissima figura di
donna, la stessa creatura che evidentemente aveva retto la spada
sott'acqua pochi istanti prima, e fece qualche passo indietro in
segno di rispetto perché quella donna doveva essere certamente una
di quelle Creature di Luce che negli ultimi anni lui e i suoi
combattenti avevano aiutato a rivelarsi e radunarsi.
"Sono
una ninfa – disse la figura intuendo i pensieri di Artù – E,
proprio come il tuo insegnante Merlino, ero qui secoli fa il giorno
in cui sono finiti i Cavalieri del Graal ed è stato allo stesso
tempo gettato il seme della loro rinascita. Io ero qui e come Merlino
ho assistito al gesto del cavaliere Leo, che già conosci, alla sua
ribellione, al suo addio alla cavalleria".
"In
questo laghetto – proseguì la ninfa – Leo aveva gettato la sua
armatura e per secoli le acque hanno custodito il metallo e lo hanno
intriso di potere magico. Ora che i tempi sono maturi, sono tornata,
dopo che io stessa avevo abbandonato questi luoghi, e ho ripreso a
vivere in queste acque. Mentre attendevo la venuta di un nuovo
Cavaliere, con quell'armatura che è stata di Leo e con le mie arti
magiche ho forgiato quest'arma per te... un'arma sacra, invincibile.
Essa racchiude in sé tutto il potere di quel Dio in cui noi stessi
siamo racchiusi. E' il segreto e il paradosso che la pervade e che
solo tu puoi padroneggiare. Il suo nome è scolpito nel Sole e nella
Luna: Excalibur".
Re
Artù ammirò la sua nuova spada lucente per qualche lungo istante e
iniziò a saggiarla fendendo l'aria davanti a sé. Quando volse di
nuovo lo sguardo al laghetto la bellissima ninfa era scomparsa,
sicuramente immersa di nuovo nelle acque. Artù osservò ancora
qualche minuto la superficie limpida, sapendo che la creatura non
sarebbe più riapparsa. Aveva compiuto la sua missione e ora era
tornata al suo posto senza concedere a se stessa o ad altri nulla in
più, nulla che non fosse necessario, come sempre avevano fatto le
Creature di Luce per migliaia di anni.
Iniziò
quindi il suo viaggio di ritorno verso Camelot con Excalibur al
fianco. Montando a cavallo un tuono potente e sinistro esplose in
lontananza proprio nella direzione del suo cammino. Era un rombo che
ricordava ad Artù che la guerra ormai stava per iniziare e doveva
sbrigarsi.
Quando
Artù arrivò nelle vicinanze di Camelot, l'immenso esercito nemico
si stava già accampando nelle pianure e nelle campagne intorno alla
città. Ma per fortuna quel terreno, formato dalle arti magiche di
Merlino e delle Creature, era pensato per proteggere la fortezza e
lasciava sempre a chi lo conoscesse un passaggio sicuro e nascosto
anche in presenza di molti soldati avversari.
Artù
riuscì così a entrare tra le mura di Camelot senza essere visto e a
prendere il comando della città poco prima che si scatenasse la
battaglia.
I
gendarmi e tutti gli altri nemici iniziarono a scagliare contro le
mura di Camelot enormi massi di pietra e palle di fuoco con le loro
macchine da guerra. I primi colpi si schiantarono contro la fortezza
senza fare danni ma le mura non avrebbero resistito all'infinito.
Artù
radunò i suoi dodici Cavalieri alla Tavola Rotonda e insieme
recitarono una preghiera che risvegliasse in loro e nei loro
combattenti il vero potere del Santo Graal, la Luce che nasce dentro
ognuno di noi e che ci guida verso il bene. Come ultima invocazione,
prima di andare in battaglia, tutti insieme ripeterono il giuramento
degli antichi cavalieri:
Dedicherò
la mia Anima alla Luce
Non
combatterò per distruggere quel che odio
ma
per difendere quel che amo
Giuro
di proteggere sempre e ovunque i deboli, gli oppressi e i bambini
Lotterò
per portare la Libertà, la Giustizia e la Verità
Guidò
allora i suoi cavalieri e le Creature di Luce sulle mura tutto
intorno alla città e ordinò che tutti si prendessero per mano l'un
l'altro.
Poteva
sembrare un ordine strano in una battaglia e infatti i gendarmi e i
Neri Esecutori che li guidavano, a quella vista iniziarono a ridere e
la loro risata malvagia riempì tutta la pianura e le campagne
intorno a Camelot.
Ma la
loro risata fu presto coperta da un canto che proveniva proprio dalle
mura. Gli elfi, le streghe, i fauni e le fate, i maghi e le ninfe a
centinaia stavano intonando tutti insieme un vero incantesimo e alla
base delle mura di Camelot iniziò a formarsi una nuvola di energia
dorata che pian piano prese a salire sino a proteggere tutta la città
come una cupola. Quando i gendarmi ripresero a lanciare pietre e
proiettili infuocati contro Camelot, questi si disintegrarono contro
quella barriera magica, mentre le Creature di Luce continuavano la
loro melodia.
Poi i
soldati di Camelot che, al riparo dietro le mura, non stavano ancora
partecipando alla battaglia, iniziarono a pregare e cantare anche
loro come i Cavalieri del Graal avevano insegnato per dare ancora più
forza alla Creature di Luce. E poco dopo anche tutti gli abitanti non
combattenti, i bambini, i cuochi, i falegnami, le guaritrici, si
unirono tutti insieme, tenendosi per mano tra le vie della città, ad
alimentare con la propria energia e la propria devozione sincera
quella barriera magica rafforzandola oltre ogni limite.
Fu
allora che appena sotto la cupola dorata apparvero strane strisce
azzurre che sembravano volare sotto la sua superficie assumendo man
mano una forma sempre più definita sino a rivelarsi come le più
potenti Creature di Luce che si potessero invocare: gli angeli.
Volteggiavano vicino alla barriera unendo il proprio canto a quello
di tutti gli altri e al loro passaggio una cascata celeste scendeva
lungo la superficie dorata sino a trasformarsi in onde di energia che
partivano dalle mura verso i soldati nemici e le loro macchine da
guerra spingendoli via con forza, ma senza uccidere o ferire nessuno.
Re
Artù si volse a guardare soddisfatto quell'incredibile e
soprannaturale spettacolo. Finché la barriera avesse retto nessun
filo di oscurità, nemmeno il buio di una notte senza Luna, sarebbe
entrato in città
Mai i
Neri Esecutori, che come Merlino aveva spiegato custodivano
segretamente l'antico potere della Luce, avevano visto una simile
potenza e i loro sacerdoti più importanti si consultarono per
decidere come attaccare Camelot.
La
barriera magica era impenetrabile per loro che non sapevano lanciare
incantesimi. Ma non poteva durare per sempre perché era alimentata
da creature e da persone che a loro volta non avrebbero potuto
resistere al'infinito.
Lasciarono
quindi che passassero il pomeriggio e la notte e l'indomani
iniziarono di nuovo a scagliare contro Camelot ogni sorta di
proiettili. Di nuovo tutti si unirono nell'incantesimo che proteggeva
la città con la barriera magica con gli stessi effetti, ma questa
volta i Neri Esecutori, senza rispetto per le vite dei loro stessi
soldati, ordinarono ai gendarmi di iniziare ad assalire la città con
le armi in pugno per cercare di aprirsi un passaggio.
Quei
poveri uomini, a migliaia, si lanciarono contro la barriera sperando
di passare laddove nemmeno le loro immense pietre erano riuscite,
convinti dalle parole degli Esecutori che la magia di Camelot poteva
fermare solo i corpi inanimati. Avevano mentito, e molti gendarmi
finirono inutilmente scaraventati a terra, scottati dal tocco di
quell'energia, schiacciati dai propri stessi compagni e alcuni,
purtroppo, morirono.
Ma
ogni loro assalto costringeva le Creature di Luce e la gente di
Camelot e intonare l'incantesimo con sempre maggiore forza e col
passare delle ore le energie iniziarono a diminuire mentre l'immenso
esercito nemico continuava i suoi assalti.
Artù,
che aveva lasciato il cerchio per fare un giro intorno alle mura,
sapeva che Camelot non poteva limitarsi a difendersi all'infinito in
quel modo e che presto i suoi combattenti non avrebbero avuto
abbastanza forza per alcun genere di azione.
Poiché,
come prevedibile, i Neri Esecutori non avevano intenzione di
ritirarsi, bisognava attaccarli e costringerli ad arrendersi.
Artù
si ritirò qualche minuto in un piccolo Tempio del Graal che sorgeva
al centro della fortezza proprio sopra la stanza della Tavola Rotonda
e lì venne raggiunto da Merlino. Si inginocchiò davanti alle
vetrate colorate attraverso cui passava la luce del giorno tenendo
ben stretta Excalibur in mano per concentrarsi e chiamare a sé il
potere della spada.
Merlino
gli spiegò: "Ciò che i combattenti di Camelot hanno fatto
sinora è servito solo per difendersi. Ora dovrai incanalare tutto il
loro potere in Excalibur per scacciare i nostri nemici. Il potere di
quell'arma è invincibile purché si abbia fede in essa".
Artù
passò tutto il resto del giorno e la notte in profonda meditazione
con la spada tra le mani, rimandendo in silenzio, immobile e con gli
occhi chiusi tanto da sembrare quasi addormentato. Con i poteri dei
Cavalieri del Graal che aveva appreso in quegli anni poteva sentire
tutta la forza generata dai difensori della fortezza e dalla loro
magia che scorreva tutti intorno. La sentiva diminuire col passare
delle ore mentre la ferocia e l'aggressività dei loro nemici
continuava. Ma lui ora era un Cavaliere del Graal completo e poteva
servirisi di entrambe quelle forze per prepararsi.
All'alba,
ai primi raggi del Sole, Artù aprì finalmente gli occhi. Merlino,
che non lo aveva disturbato per tutte quelle ore, era ancora vicino a
lui nel piccolo Tempio del Graal: "Pronto?" gli chiese.
"Pronto
- rispose il re – Il Sole e la Luna tra i quali è scritto il nome
di Excalibur oggi ci aiuteranno. L'ho sentito chiaramente".
Artù
tornò finalmente sulle mura dove Cavalieri e Creature di Luce furono
felici di rivederlo. Stavano resistendo senza riposo da moltissime
ore e molti tra loro iniziavano a cedere e la barriera magica a
indebolirsi, tanto che alcuni dei colpi scagliati dalle macchine da
guerra nemiche iniziavano a superarla e schiantarsi contro le mura,
mentre in alcuni punti soldati nemici erano riusciti a scalare la
muraglia ed era stato necessario respingerli con le armi in pugno.
Artù
scelse un punto da cui poteva vedere davanti a sé, nella pianura, il
grosso dell'accampamento nemico con la maggior parte dei Gendarmi e
dei Neri Esecutori che li guidavano. Da lì avrebbe lanciato il suo
attacco solitario, per ottenere il massimo risultato possibile, ma
non era ancora il momento. Qualcosa stava per accadere in cielo,
anche se non sapeva bene cosa, ma era certo che lo avrebbe aiutato.
Aspettò...
passarono ancora due ore, tre. Il Sole tornò alto nel cielo del
pomeriggio e lui continuava immobile a fissare la pianura davanti a
sé, mentre i difensori di Camelot, anche se sempre più stanchi,
continuavano a resistere senza fare domande, sicuri che Artù avesse
nella sua testa il piano giusto.
Poi
finalmente qualcosa accadde. Un immenso disco apparve improvvisamente
in cielo davanti al Sole. Poco alla volta avanzava limitando sempre
più la luce del giorno ed era evidente che presto l'avrebbe oscurato
quasi del tutto. A quella strana vista i gendarmi, non sapendo che
quella era la Luna che in pieno giorno stava ruotando passando
davanti al Sole generando un'eclisse, spaventati dal buio che stava
calando in pieno giorno, si fermarono e sospesero la battaglia.
Era
il momento che Re Artù aspettava, quello in cui poteva servirsi,
come già durante le sue preghiere, del potere della Luce e di quello
dell'Ombra. Artù aspettò che la Luna fosse proprio al centro del
Sole, oscurandolo del tutto tranne che per una sottile corona tutta
intorno, poi alzò la spada Excalibur sopra di sé per raccogliere
allo stesso tempo la forza di quei raggi solari che ancora passavano
e del cono d'ombra lunare. Excalibur si illuminò improvvisamente di
un bagliore accecante, poi sembrò quasi incendiarsi e tutto intorno
ogni cosa tremava.
Artù
resse la spada sino a che non sentì in essa il massimo potere. Poi,
con decisione, la calò e puntò verso il grande accampamento nemico.
Un potente bagliore, una fiammata, lampi e scariche di energia
divamparono dalla lama e si diressero con la forma di un drago verso
la pianura. La potenza di Excalibur toccò terra tra le tende e i
carri dell'esercito dei gendarmi e generò un'enorme esplosione che
spazzò via tutto per centinaia di metri con un frastuono assordante,
mentre lo spostamento d'aria faceva volare ogni cosa come in una
tempesta.
Tutto
intorno a Camelot inmprovvisamente calò il silenzio. Gendarmi e Neri
Esecutori, a migliaia, giacevano a terra senza vita o feriti. Chi era
sfuggito al potente attacco di Excalibur stava fuggendo verso le
paludi. I difensori della fortezza avevano cessato il proprio canto
lasciando spegnere la barriera magica che ormai non serviva più.
Quando la Luna continuando il suo corso lasciò il Sole nuovamente
scoperto, la luce del giorno tornò a splendere rivelando gli effetti
di quanto accaduto.
La
battaglia, anzi, la guerra era finita. Artù, Merlino, i Cavalieri
della Tavola Rotonta e le Creature di Luce avevano vinto.
I
combattenti e i difensori di Camelot passarono tra le mura il resto
della giornata e tutta la notte seguente. Solo il giorno successivo
il re, accompagnato da Merlino, dai dodici Cavalieri e da alcune
Creature, uscì dirigendosi a piedi verso ciò che restava degli
accampamenti nemici.
Camminarono
tra rovine, tende e carri bruciati, persone a terra senza vita.
Non
era però con quella sofferenza che il nuovo mondo poteva essere
costruito, altrimenti sarebbe stato uguale al precedente, al mondo
del Tempio Nero, dei Neri Esecutori, delle Creature di Luce
perseguitate e imprigionate e del mistero del Graal nascosto alla
gente.
Di
nuovo, i Cavalieri e le Creature di Luce si presero per mano in mezzo
a quel silenzio e quella rovina. Raccolsero tutte le proprie forze e
intonarono un nuovo canto... non più un canto di guerra, stavolta,
ma un canto di vita.
Una
strana onda magica iniziò a spargersi tutto intorno a terra... e
pian piano le persone morte iniziarono a tornare in vita, a
riprendere conoscenza, a rialzarsi, stupite da quel che era capitato
e cercando di capire cosa fosse successo. E, soprattutto, illuminate
da quella incredibile esperienza.
Quando
tutti si furono ripresi e gli effetti della battaglia furono
cancellati, Artù comandò ai gendarmi e agli esecutori riportati in
vita di tornare alle proprie case. Non era solo la guerra ad essere
finita, ma un'intera epoca di oscurità. La Luce si sarebbe espansa
da Camelot in tutta Europa e sarebbe stata patrimonio di tutti così
che il male non sarebbe mai più potuto tornare.
Poi
il re salutò i suoi amici e combattenti per un ultimo viaggio. I
dodici Cavalieri della Tavola Rotonda sarebbero tornati a prendersi
cura di Camelot. Le Creature di Luce, ormai senza più nulla da
temere, sarebbero pian piano tornate a popolare il mondo e convivere
con la gente comune.
"Sicuro
di quel che stai per fare?" Chiese Merlino ad Artù prima della
sua ultima partenza.
"Sicurissimo"
rispose il re con un sorriso. E in quell'espressione serena, liberata
forse dagli ultimi anni di severità e responsabilità, Merlino
rivide il ragazzo di sedici anni che un tempo aveva accolto e guidato
come un figlio, quando tutto ancora poteva essere felicità e
spensieratezza.
Solo
col suo cavallo, Artù tornò ancora alla foresta dove aveva
conosciuto il suo maestro, dove aveva trovato la Spada nella Roccia e
dove la ninfa aveva per lui forgiata Excalibur.
E
proprio Excalibur era venuto a restituire.
Artù
si inchinò sulle sponde del laghetto dove già era stato pochi
giorni prima e dove il cavaliere Leo, un tempo, aveva messo al sicuro
ciò che rimaneva dell'antica cavalleria.
"Sono
venuto a riportare ciò che non serve più a me o ad altri"
disse, sapendo che la ninfa del lago lo stava ascoltando da sotto la
superficie.
E
così Artù posò delicatamente sulle acque Excalibur, che galleggiò
magicamente, e la spinse verso il centro dove pian piano si immerse
nelle profondità del lago.
Poi,
attraverso il tetto naturale di vegetazione, guardò il cielo e
un'ultima volta, con le mani unite a coppa, ripetè il gesto del
giuramento dei Cavalieri del Graal e raccolse dentro di sé la luce
del Sole chi filtrava tra le fronde.
Infine
si rialzò. Pose un piede dentro l'acqua. Poi l'altro. E iniziò a
camminare, finendo, un passo dopo l'altro, sempre più immerso nel
laghetto. Continuò come se nulla fosse, sereno, finendo poi
completamente sott'acqua, mentre il suo corpo si tramutava lentamente
in un'aura dorata di energia e diventava tutt'uno con il lago... sino
a sparire.
Era
l'ultimo dono che re Artù, il primo cavaliere della nuova epoca,
lasciava all'umanità.
Insegnare
che gli esseri umani sono perfetti così. Che non hanno bisogno di un
re. Di Cavalieri. Di Creature di Luce. Di spade magiche. Loro sono
già tutto ciò che serve. Sono la Luce che troppo spesso cercano al
di fuori e che invece portano già in sé.
Gli
esseri umani erano, sono e saranno il Santo Graal.